Recensioni / Che bello levitare sulle meschinità quotidiane poi un giorno arriva una busta verde e ti tira giù

Adrián Bravi è uno scrittore lunare, schietto, uno che apre le finestre sul mattino accettando il tempo come un piccolo miracolo quotidiano, senza infingimenti o patemi, senza l'ansia di vivere la giornata perfetta o inseguire il mito del libro perfetto. Un generoso outsider, che cerca nella letteratura divertimento e emozione, travalicando spesso il confine tra finzione e realtà, in quel territorio che molti suoi conterranei latinoamericani — Bravi vive a Recanati ma è nato a Buenos Aires — occuparono con l'etichetta un po' generalizzata di «realismo magico». Uno scrittore da cercare con attenzione, dunque, visto che non corrisponde ai canoni da classifica, ma che si trova in buona compagnia con altri autori «stralunati» del catalogo Quodlibet — sarà un caso? — e che rispondono ai nomi di Cornia, Noni, Celati, Malerba, Cavazzoni, ai quali aggiungeremmo anche un tal Rodolfo Wilcock, altro geniale oriundo che scherzò con la letteratura facendone gioco, arte del paradosso, motivo di sopravvivenza spontanea. E non c'è niente di più terapeutico che scrivere innanzitutto per se stessi, ne siamo convinti. Al punto da levitare al di sopra delle meschinità quotidiane, come accade al protagonista del nuovo racconto di Bravi, Il levitatore.
Anteo Aldobrandi è in fondo un piccolo uomo senza qualità, che a quarantaquattro anni sopravvive ancora — forse per poco — con i soldi ereditati dai genitori, ancorato alla sua placida provincia, senza cercare altro che un disincantato distacco dai problemi contingenti della vita reale. Dall'età di quattordici anni Anteo convive segretamente con la capacità inspiegabile di levitare, di sollevarsi al di sopra degli altri, a volte anche solo di pochi centimetri, ma trovando in questo una sua misteriosa stabilità emotiva. Da dove nasca questo dono Anteo per primo non lo sa spiegare, anche se a volte pensa che sia un oscuro lascito del dito paterno tranciato da una motosega, che ilpiccolo protagonista trafugò per poi conservarlo imbalsamato in una microbara che lui definisce «il tutankamino».
Le bizzarrie non mancano, nella vita di Anteo, circondato da parenti storditi come lo zio Rocco, che continua a cercare i parenti defunti e a esibire le proprie vergogne in pubblico credendo di essere ancora il cacciatore di femmine dei tempi d'oro. E in quanto a stranezze, anche la vita di coppia di Anteo non è stata avara, dato che lui e la ex-moglie Ginetta mantengono in affido congiunto la loro cagnetta Plotina, con tanto di visite stabilite e regolamentate. L'inghippo salta fuori con la prima busta verde consegnata al levitatore da un odioso postino ficcanaso, una busta che contiene una denuncia da parte di Ginetta, relativa a fantomatiche molestie a opera del suo ex. L'escalation di paradossi legali mette ovviamente in crisi il povero Anteo, che è tutto fuorché uno stalker, ma la vicenda processuale procede come se il levitatore fosse davvero una minaccia sociale.
Per fortuna sulla sua strada dissestata incrocia prima l'avvocata Fiorella che si offre spontaneamente didifenderlo, poi la bella accuditrice di animali Letizia Cavalcanti, che lo trascina nel suo mondo di esuberanze ruspanti facendolo oltretutto innamorare del singolare buco che la donna ha al posto di un orecchio.
Tra episodi surreali e qualche lecito confronto con i veri paradossi della realtà — l'assurdità inspiegabile di un processo basato su accuse non comprovate — la storia di Anteo Aldobrandi si evolve come un gioco rilassante, dove la vita scorre con tutte le sue stonature, restando ancorata a quella terra da cui — quando vuole — il protagonista sa sollevarsi per sognare — forse — altri mondi. Ed è proprio questa leggerezza di intenti e di piccole soddisfazioni emotive e rendere piacevole l'esistenza di Anteo e il racconto, pulito e solare come una vacanza oltre i confini del mondo reale.

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