Recensioni / Storie di libri di Alessio D’Aguanno: A che ora si mangia? di Alessandro Barbero

Da questo mese potrete leggere le recensioni di alcuni libri selezionati da *Alessio D’Aguanno per Un tocco di zenzero; Alessio è un giovane appassionato di gastronomia e cultura del cibo che molti di voi conosceranno. Mi piace la sua scrittura e il suo approccio al cibo e per questo motivo gli ho chiesto di scrivere per me. Inauguriamo la rubrica di Alessio con il libro di Alessandro Barbero:

“A che ora si mangia?”

Questa è la domanda che ogni persona che cucina in ambito domestico si sente porre all’avvicinarsi del pasto, pranzo o cena che sia. Lo si chiede per sapere se si può essere d’aiuto nella preparazione di alcune pietanze o della tavola, lo si chiede perché si hanno alcune faccende da sbrigare prima o, molto più spesso, quando non si resiste più al richiamo della fame.

“A che ora si mangia?” è anche la domanda che si è posto Alessandro Barbero – saggista, romanziere e storico – nella stesura dell’omonimo libro. Non dal punto di vista affrontato nelle righe precedenti, ma da un’altra prospettiva, quella storico-antropologica dal XVIII secolo a oggi.

È interessante notare, infatti, come fin quando non ci troviamo nelle condizioni in cui siamo costretti a mangiare in orari differenti da quelli a cui siamo abituati – per esempio in trasferte all’estero – non riflettiamo nemmeno sull’orario dei pasti. Non perché non riteniamo importante l’argomento, quanto più per il fatto che diamo per scontato che i nostri orari del pranzo e della cena siano gli orari ‘standard’ per tutta la popolazione mondiale.

Ma così non è adesso e così non è mai stato.

“La realtà è che gli orari dei pasti sono una costruzione culturale e cambiano non solo da un paese all’altro, ma da una classe sociale all’altra e anche da un’epoca all’altra. Tra la fine del Settecento e l’inizio dell’Ottocento le classi agiate europee hanno modificato l’orario dei pasti, facendo slittare in avanti l’orario del pasto principale della giornata. […] Lo slittamento in avanti è proseguito nel corso del XIX secolo, concludendosi solo all’inizio del novecento.”

Nel libro, denso di illustri testimonianze inglesi e francesi in lingua originale, si scopre come gli orari dei pasti rivestissero un’importanza sociale enorme anche nella stessa epoca, significando molto più di semplici numeri. Fino a inizio Novecento gli stessi erano un vero e proprio indicatore sociale, che ha permesso all’aristocrazia di distinguersi dalla borghesia e ha causato uno scompenso linguistico sull’utilizzo dei termini per identificare i pasti.

Nella Francia del XVIII secolo tre erano i pasti che scandivano la giornata: la colazione del mattino appena svegli, déjeuner, il pranzo consumato tra mezzogiorno e le due, dîner, e la leggera cena della sera, souper.

A Londra, che si scoprirà essere il traino delle nuove tendenze sugli orari dei pasti, già nel XVIII secolo si pranzava alle tre-quattro, orari che saranno abitualmente adottati prima da Parigi e poi, nel corso del secolo successivo, dalle classi medie e dagli altri stati: Germania, Italia, Russia e Stati Uniti. È interessante notare come, in realtà, fino al ventesimo secolo gli orari non si siano mai allineati. L’aristocrazia inglese e francese ritardava sempre più gli orari dei pasti fino a che il precedente pranzo è diventato l’attuale cena. Ciò spiega come mai in Francia e in Inghilterra la cena sia attualmente identificata rispettivamente con i termini dîner e dinner precedentemente utilizzati per identificare il pranzo, a differenza dell’Italia, nella quale il termine pranzo è tornato a identificare il pasto di mezzogiorno.

Lo slittamento del pranzo ha implicitamente causato due conseguenze principali: la scomparsa della cena, e del relativo termine souper o supper, e la comparsa di una colazione abbondante, le déjeuner à la fourchette.

La prima che, a differenza di quanto avviene oggi, è sempre stata ritenuta ideologicamente e quantitativamente meno importante rispetto al pranzo, già nel XVIII secolo veniva abitualmente saltata da una buona parte della popolazione. Questo perché durante il pasto principale, anche nella piccola borghesia, era usanza non mangiare “meno di quattro o cinque piatti, di cui almeno due di carne.” Quando veniva ancora consumata era “in circostanze eccezionali, quando si è ancora svegli a tarda notte, dopo lo spettacolo o il ballo.”

Prima che il pranzo fosse ritardato non vi era alcuna usanza di fare uno spuntino a metà mattina, eccezion fatta per i piantatori della Virginia, i quali alle 10 consumavano carne fredda, prosciutto, pane tostato e sidro. “Ma con i nuovi orari la colazione à la fourchette prende piede ovunque, resa necessaria proprio dal fatto che si pranza così tardi.”

La colazione a metà mattina si inizia fare così abbondantemente e tardi che sotto il primo Impero a Parigi “nasce l’abitudine di invitare la gente a colazione, anziché a pranzo”, la cosiddetta déjeuner dînantoire, che prevedeva spesso una minestra e poteva anche durare quattro ore. Abitudine che, nella verità dei fatti, durò pochi anni ma che ci fa comprendere quanto mai l’importanza sociale degli orari dei pasti, che “in un paese class-conscious come l’Inghilterra si è fatta strada fino al dizionario”. La ristampa dell’Oxford English Dictionary del 1967 definisce infatti il dinner come pasto principale della giornata consumato originariamente, e ancora da molte persone, a mezzogiorno, ma adesso, dalle classi sociali più ricche, alla sera.

“A che ora si mangia?” è una domanda che probabilmente continueremo a porre con lo stesso scopo.

Ma con una diversa consapevolezza.

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