Recensioni / Cesare Cases, Laboratorio Faust

La nostra ricezione del massimo capolavoro di Johann Wolfgang Goethe deve molto all’opera critica di Cesare Cases. A partire da quella magistrale Introduzione al Faust nell’edizione Nuova Universale Einaudi, che fu guida per generazioni di lettori, egli si occupò della Tragödie nei principali momenti della sua mediazione in Italia, scanditi in seguito dalle traduzioni di Franco Fortini (Mondadori) e di Andrea Casalegno (Garzanti). Dedicò ad essa, inoltre, interventi di grande interesse, dislocati tra riviste, atti di convegni e altre sedi ancor più occasionali. Era dunque fortemente auspicabile un lavoro di raccolta e di pubblicazione degli inediti, che rendesse giustizia alla sistematicità di una dedizione, si può ben dire, durata una vita. A provvedere sono stati Roberto Venuti e Michele Sisto, con la curatela di Laboratorio Faust. Saggi e commenti per i tipi di Quodlibet. Il corposo volume è aperto da due saggi introduttivi. Sisto ripercorre la carriera di Cases, dalla pioneristica divulgazione della teoria letteraria di György Lukács,1 quale esordio – voluto da Renato Solmi – di una lunga attività per Einaudi, fin oltre i limiti del secolo breve, nella stagione “postuma” a cui il marxista non pentito guardò con sarcasmo, talora amaro. Roberto Venuti ci introduce, invece, al contributo dato alle due nuove versioni: il commento, finora inedito, per quella di Casalegno (1985-1988), e ancor prima la puntuale revisione del testo di Fortini (1967-1969), corredata del loro carteggio privato. Dato il carattere relativo di questi ultimi documenti, è assai utile il rimando di Venuti alle dense riflessioni del poeta fiorentino sulla propria scrittura traduttiva. Nella prima sezione del volume (Saggi, pp. 3-184) assume inevitabile centralità l’Introduzione del 1965. La posizione critica dell’ampio testo è analizzata da Sisto in parallelo a quella di altre edizioni coeve, quali espressioni di precise tendenze culturali e ideologiche. Così, la premessa iniziale, storicistica, sulle origini del «mito di Faust» – necessaria a comprendere la valenza epocale nel rovesciamento del destino del protagonista, rispetto ai primi Volksbücher luterani – doveva ancora difendersi dall’opposizione crociana alla «storia del contenuto». Certo, nessuno sfugge ai segni del tempo. Al nostro interprete si dovrà perdonare l’aver considerato ancora «punti deboli» le digressioni allegoriche della seconda parte; si potrà farlo, nel momento in cui il giudizio venga rapportato al contesto. Il principale contributo in tal senso, sottolinea Sisto, viene soprattutto dalla mediazione delle Faust-Studien di Lukács (1940), di cui Cases in verità mitiga sapientemente le forzature, che ascrivevano troppo facilmente l’olimpico di Weimar a un campo propedeutico al socialismo. Forzature da leggere, anch’esse, in termini relativi, nell’urgenza della lotta alla barbarie nazista: come rilevò in seguito proprio il nostro critico, in un saggio di vent’anni posteriore, qui raccolto. Nella pagina di Cases, sia essa una nota linguistica o un’argomentazione critica, colpisce la limpidezza del concetto, spesso animata dall’ironia. In tal modo le Due noterelle faustiane (1971) riescono a diffondersi erudite sulla resa di un paio di distici controversi per ben quindici pagine, senza smettere di affascinare il lettore. Per quanto riguarda invece la più generale esegesi dell’opera, ha particolare rilievo l’interpretazione del secondo finale, data nei saggi Il «monologo finale» del «Faust» (1981, tradotto dal tedesco da Francesca Tucci) e Il futuro dell’uomo nel «Faust II» di Goethe (1984). Qui Cases si riscatta dalle sue precedenti riserve lukácsiane sull’allegorismo, riconoscendovi innanzitutto la grandiosa sintesi della mutazione storica, dalla società feudale all’imperialismo mercantile. Inoltre, accogliendo in parte le tesi di Heinz Schlaffer, nonché quelle di Adorno respinte ai tempi dell’Introduzione, corregge le letture «in chiave di utopia» delle ultime parole di Faust morente, fornite dalla critica di ambizione marxista meno avveduta. Pur nelle sue evoluzioni, favorite da una fine analisi della critica più recente, Cases mantiene una peculiarità di giudizio sedimentata nell’arco di decenni. Questi ultimi scritti, sebbene di imparagonabile livello, risultano infatti in certa misura coerenti col primo articolo faustiano, Faust, Mefistofelee il capitalismo (1949), stilato dal germanista ventinovenne per «Il Progresso d’Italia». Articolo che riscontrava già l’ambivalenza goethiana di fronte all’economia politica moderna, ma pure ne salvava l’umanesimo. Nella seconda, più ampia sezione (Lettere e commenti, pp. 185-563), la revisione dell’intera traduzione di Fortini, pubblicata per la prima volta dai dattiloscritti dell’Archivio presso l’Università di Siena, costituisce una vera e propria miniera ermeneutica, non solo per la straordinaria competenza storico-linguistica profusa. Il valore di tali revisioni fu subito chiaro a Fortini, stando alle sue parole: «un giorno certamente saranno pubblicate e faranno la gioia dei germanisti». Si prenda ad esempio il passaggio seguente, dove si esprimono perplessità sulla traduzione di un epiteto mefistofelico: L’Ironico. Mah. Goethe teneva alla parola Schalk nella sua accezione svizzera, che applicava soprattutto a donne. Dai suoi appunti risulta che per lui la donna-Schalk “alle domande dà risposte che non c’entrano; non loda nulla; critica tutto, auspicando il contrario; fa la sorda; tace di fonte alla loquacità dell’uomo…”. […] Goethe distingue esplicitamente questa accezione elvetica da quella comune (“mattacchione, burlone”). Cioè i connotati dello Schalk sarebbero quelli puramente negativi, scostanti, dello “spirito che sempre nega”. […] Se non trovi di meglio lascia l’ironico, che se non va bene per Schalk va bene per Mefistofele in generale. Se poi, dopo aver tradotto il Faust in italiano, vorrai tradurlo anche in milanese, forse “bastian contrari” è la parola che ci va più vicina.

La lunga citazione, peraltro, può lasciare intendere l’umorismo del godibilissimo carteggio, fra i due intellettuali affraternati dalla militanza politica.
Altrettanto preziose, e da leggere in parallelo alle revisioni, sono poi le Note di commento per una traduzione del Faust destinate all’edizione Garzanti, interrotte dall’anzianità prima che fosse compiuta la prima parte. Destinate al lettore comune, esse illuminano determinati passaggi come faranno solo le successive edizioni tedesche. Leggiamo il commento allo stesso verso 339: der Schalk: in origine “servo” (cfr. italiano scalco), poi usato in senso deteriore, infine passato al senso di furbacchione, mattacchione. Parola cara a Goethe che la trovava tipica degli svizzeri e l’aveva applicata all’amica zurighese Barbara Schultheiß. Secondo la prosa Le buone dame (Die guten Weiber) indica “una persona che con allegria e maligna soddisfazione fa uno scherzo a qualcuno” e si parla anche di “indifferenza, freschezza, ritrosia” […]. C’è dunque l’associazione di elementi positivi e negativi. Al solito il Signore [nel Prologo in cielo] sembra vedere solo i primi, e preferire la specie dello Schalk agli altri spiriti negativi. Rispetto alle private revisioni, nella chiusura si avverte una sottile vicinanza di tono, conforme all’oggetto della trattazione. Entrando nel merito, si può invece riscontrare come il giudizio consegnato a Fortini venga integrato da una più approfondita riflessione, e corretto in direzione di quell’ambivalenza che è propria dell’ironia.

Dal complesso del volume, un dato appare incontrovertibile. Cesare Cases è stato non uno tra i molti, ma l’interprete del Faust nel secondo Novecento italiano. Non ci si può dunque esimere dal manifestare entusiasmo per questa pubblicazione, quantomeno proficua alla migliore comprensione del grande classico moderno.