In questi giorni di lotta al coronavirus ci è di grande conforto
la vicinanza del popolo cinese
manifestata ripetutamente negli interventi del presidente Xí Jìnpíng,
con l'invio di medici e di materiale
sanitario, attraverso la solidarietà di
un popolo che prima di noi è stato
colpito duramente dal Covid-rg.
Alcuni possono rimanere sorpresi.
Ci sono certamente molte ragioni
politiche e legate alla contingenza,
ma non deve sfuggirci il legame più
profondo e ben presente agli amici
cinesi, forse un po' meno agli
italiani.
Nella storia della. Cina la figura
di P. Matteo Ricci, Li Madou Xitai
una svolta sotto molti punti di vista.
Sono note le sue grandi imprese
culturali e missionarie a cavallo ciel
1600. Un'avventura che sotto l'ardente desiderio di annunciare il
Vangelo lo ha portato, assieme ai
suoi compagni gesuiti, a percorrere
la lunga strada che da Macao lo
condusse in circa 20 anni di prove
durissime a Pechino, clove rimase
per altri 10 anni, fino alla morte,
sotto l'alta protezione — fatto assolutamente nuovo ed eccezionale per
quei tempi — dell'imperatore Wanli
della dinastia Ming, al potere dal
1572 al 1620.
Oltre ad annunciare il Vangelo,
vera e unica ragione della sua epica
impresa, grazie alla sua straordinaria
intelligenza e all'accurata formazione ricevuta presso il Collegio romano alla scuola dei grandi maestri del
tempo, stupì il grande impero e lo
stesso imperatore per le sue conoscenze astronomiche, matematiche,
geografiche, letterarie, artistiche e
musicali. Il grande contributo culturale dato da Matteo Ricci è ben noto a tutti i cinesi che studiano la sua
figura a scuola come noi studiamo
Leonardo da Vinci, e il paragone è
tutt'altro che improprio.
Ma agli amici cinesi non è certamente sfuggito un altro aspetto forse meno noto, ma non meno importante. Lo stile di vita dei gesuiti e la
testimonianza da loro data nei momenti di difficoltà hanno lasciato un
segno profondo. Possiamo considerarlo un precedente importante e illuminante per capire quanto sta accadendo. Ecco quanto Ricci scrive
al Preposito Generale il 26 luglio
del 1605 a proposito delle cure prestate dai padri gesuiti ai malati in
occasione di un'epidemia in corso a.
Pechino mentre gli stessi amici delle
persone contagiate se ne stavano a
distanza: «quest'anno fu in questa
città una malattia, spetie di peste
per esser contagiosa, con che avessimo materia di mostrare a questi
christiani la charità Christiana, perché gli agiutassimo quei che erano
infermi con quanto potessimo; ciel
che restorno assai edificati per
essere in tempo che né gli intimi
amici si avvicinavano molto a loro»
(Lettere, Ouodlibet, Macerata. 2001,
p. 411).
Non era la prima volta che la via
della carità si dimostrava la più efficace e incisiva nel creare legami di
stima e nel dare credibilità all'opera
di evangelizzazione. Anche in precedenza a Zhaoqing era accaduto
qualcosa cli simile. Scrive Ricci al p.
Ludovico Maselli sj il 29 ottobre
1586: «Quest'anno anco crebbe il
fiume di questa città, tanto che entrò per tutte le case et allagò tutti
campi bottando case per terra e facendo molto male. Onde molli poveri si raccolsero in nostra casa a cominciorno a provare alcun saggio
della charità Christiana, cosa che loro non speravano. Di quel puoco
che avevamo di poi anco gli dessi1110 limosine per rifare le case cadute a loro et agli altri christiani poveri, di che restò tutta la città molto
edificata» (Ibid., p. 123).
Il toccare con mano la carità cristiana fu per i cinesi una scoperta
sorprendente e destò in loro grande
stupore, oltre che ammirazione per i
gesuiti. I battezzati ne furono edificati e molti a seguito di tali testimonianze si accostarono alla fede. Il
pensiero e il modo d'agire dei gesuiti aveva già suscitato molta attenzione in precedenza e non solo per il
fortunatissimo libro ciel Ricci
sull'amicizia che ebbe una incredibile diffusione aprendo ai padri molte
porte di famiglie importanti e di
città.
Ciò che aveva colpito e interrogato maggiormente i cinesi era stato
soprattutto il perdono invoca.t.o da.
Matteo Ricci e dai suoi confratelli
nei confronti degli imputati condannati dopo alcuni processi per violenze e calunnie subite dai padri gesuiti (cfr. Ibid., pp. 16o-161). Pur in
presenza di una sensibilità morale
molto elevata, il perdono non costituiva una categoria contemplata nella visione filosofica e religiosa dei
cinesi. La benevolenza dei gesuiti
lasciò un segno profondo nei cinesi
e cliven.ne una delle vie maestre per
accostarsi al cristianesimo. Del resto
Matteo Ricci era profondamente
convinto che «la Via del Signore ciel
Cielo è già presente nei cuori degli
uomini ma essi non la comprendono immediatamente» (Id., Catechismo. Il vero Significato di "Signore del
Cielo", EDS, Bologna 2013, p. 103).
quanto seminato da Matteo Ricci
in terra cinese e soprattutto nel cuore di questo grande popolo che lui
ammirava profondamente, può produrre ancora frutti meravigliosi se
sapremo dare corso a quanto egli
disse sul letto di morte ai suoi confratelli a Pechino 1'11 maggio 161o:
«Vi lascio su una soglia aperta a
grandi meriti, ma non senza molti
pericoli e tribolazioni» (Id., Della
entrata della Compagnia di Giesù e
Christianità nella Cina, Quodlibet,
Macerata 2000, p. 606). Ricordava
così tutto il lavoro fatto per porre le
basi del dialogo tra Occidente e
Oriente. Ma nello stesso tempo indicava che era stata solo aperta la
porta e che molto restava da fare.
queste parole ci ricordano un compito, ancora attualissimo, affidato a
tutti coloro che di questo dialogo
vogliono farsi interpreti. E che oggi
siano i cinesi, a cui va tutta la nostra gratitudine, a esercitare la solidarietà nei nostri confronti non deve sorprenderci perché qualcuno
aveva già indicato loro la Via.