L’eroe romantico,
sapiente, ramingo,
cercatore di verità,
l'ultimo a incarnare l'utopia della letteratura
come forma di vita. Rileggi i
giudizi più che lusinghieri di
critici e colleghi su Gianni
Celati, classe 1937,bolognese
di adozione,viaggiatore,esule da anni dall'Italia, tanto
novelliere quanto saggista e
traduttore, docente-icona
dell'istituto Dams, naufrago
del '68 italiano e del movimento del '77, confidente di
Italo Calvino e devoto a Giorgio Manganelli, e ti ricordi come la nostra letteratura - che lui ha definito «l'equivalente dei non
luoghi vacanzieri, senza memoria, fatta di sradicamento e disaffezione» - assegni sempre la corona a coloro che più l'hanno disprezzata e smontata in mille pezzi. Famoso soprattutto per Narratori delle pianure (1985), per il corpo a corpo
durato sette anni per tradurre l'Ulisse di Joyce,
per avere traslato in italiano l'argot di Céline, per
gli studi sui grandi solitari americani e su Bartleby lo scrivano di Melville, Celati è l'unico autore italiano in vita cui sono stati dedicati ben due
numeri monografici della rivista Riga (oltre che
un Meridiano Mondadori).
Ghiotta, dunque, la proposta di Quodlibet
che ha editato insieme quattordici saggi rielaborati (Narrative in fuga) e Quattro novelle
sulle apparenze. Doppia pubblicazione, a riprova del fatto che l'autore non ha mai distinto il
lavoro narrativo da quello critico, da lui appunto definito «studi d'affezione». La linea comune
è presto rintracciata: anche
nelle novelle i protagonisti
sono tutti (come lo scrittore)
dispersi che vagano nel
mondo, per sottrarsi a società abitudinarie e cortigiane. Resistervi sarebbe
inutile: la vita stessa è poco
più di una trama cerimoniale, «per tenere insieme qualcosa di inconsistente» a cui
però irrimediabilmente apparteniamo.
Ma davvero Celati si è arreso? Negli studi si intravede l'uomo che ama «perdersi
nei classici, per cercare una
visione». Un cammino che lo
porterà a provare le smorfie di Stanlio e 011io
nella scrittura e a frequentare le bettole parigine per catturare da prostitute e malavitosi il
gergo adatto a tradurre Céline. Una navigazione
procellosa, alla ricerca di «un reale non filtrato
da storia, ragione e senso comune, posto che
anche questo alla fine sarà fittizio». Un allegro
nichilismo nella novellistica, una dignitosa
impostura nella critica, surrogate dalla filosofia
dell'amato Wittgenstein.