Recensioni / Recensioni. Romanzo. Adrián N. Bravi , Il levitatore

Diversamente dal gigante Anteo che prendeva forza ogni volta che toccava terra, il quarantenne Anteo Aldobrandi si trova a sua agio quando levita. In un certo senso, è un uomo dimezzato come il visconte della Trilogia degli antenati (Calvino sembra essere uno dei maestri di Bravi, assieme a Borges, Kafka e Gombrowicz). Da un lato c'è una "misteriosa forza cosmica" che lo spinge letteralmente in alto, una forza che deve essere tenuta nascosta: "mi sentivo felice quando ero per aria e siccome la felicità è un sentimento che è meglio non svelare per non attirare l'invidia delle persone, ho trascorso molto tempo della mia vita a nascondermi". Dall'altro lato c'è la pesantezza della realtà (la borgesiana "prolissità del reale"), ovvero una forza altrettanto misteriosa che pesa come un "macigno sul cuore", come si legge nelle Lezioni americane. Un giorno il pacifico Anteo riceve una busta verde pastello contenente una denuncia. Inizia così, per lui, uno strano e comico percorso "discenditivo", per dirla con il Manganelli di Hilarotragoedia. Per uno scrittore "a volte è necessario cambiare lingua" osserva Piglia in Formas breves. Questa frase vale per Conrad, Beckett o Nabokov, ma vale anche per Wilcock e Bravi, capaci di passare con maestria dallo spagnolo all'italiano. Bravi nella sua raccolta di saggi La gelosia delle lingue si definisce uno "straniero che deve rovistare tra le parole", ma è indubbio che, libro dopo libro, la sua ricerca ripaga sempre il lettore. Loris Tassi

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