Un seme di umanità. Note di letteratura di Piergiorgio Bellocchio
è uno specchio abbastanza fedele di
un'attività critica che, dagli anni sessanta ai primi anni Duemila (limiti
estremi di datazione dei testi inclusi
nel libro) sta raccolta ai margini di
interventi, prefazioni, introduzioni,
articoli di giornale, e che trova in
questa sede una nuova collocazione.
Seguendo l'ordine degli scritti, una
prima osservazione potrebbe riguardare la parziale trasformazione che
si apprezza nei criteri che regolano
il giudizio e il confronto con autori, generi e opere. L'influenza più o
meno diretta dell'ortodossia estetica
lukácsiana, sedimentata nei primi lavori del libro, che Bellocchio comunque assume
non acriticamente, contribuisce a situare il valore dell'opera nelle potenzialità rappresentative,
in termini conflittuali,
di rapporti determinati
storicamente e mediati tra classi e individui.
Non sarà quindi raro
incorrere ín espressioni
come "evita di mettere
in questione la classe a cui appartiene", nell'introduzione a Stendhal, o
"alla base c'è una incomprensione
radicale e preconcetta delle ragioni
storiche dell'industrializzazione", in
quella dedicata a Dickens.
Eppure, anche all'interno dell'apparente rigidità del "primo" Bellocchio, resta uno spazio di forzosa inconciliabilità e mancata coincidenza
con le leggi e le espressioni, ben
rappresentabili o meno, dell'ordine
storico-sociale. Questo spazio quasi inassimilabile trova il suo centro
nell'individuo — o meglio dell'individuo non riesce a fare a meno — e il
suo correlativo critico in una forma
di attenzione che, scavalcando d'un
colpo gli steccati rigidi dei metodi
e delle opposizioni binarie ed esclu
denti, non dimentica di interrogare
e di far leggere nel resto una esperienza del mondo che si fa in quanto
storia degli uomini, non solamente
attraverso di loro. Grazie al saggio
dedicato alle lettere di Vissarion Belinskij, cominciamo a intravedere i
lineamenti delle figure che compongono questa galleria umana, a scoprirne il carattere, nell'incapacità di
"amare le idee e non gli uomini", di
cambiare "mai un uomo contro un
libro". Dal vento della rivoluzione,
dal suo pensiero e dalla sua prassi, dal
contrasto netto tra "naturale umanità e valori sociali", di cui il romanzo
russo ottocentesco è cristallina testimonianza, simili personaggi assumono maggiore spessore: "spessore
umano, che spesso è il miglior metro
di verifica delle loro idee e delle loro
azioni pubbliche".
Il discorso continua ad essere
valido anche attraverso maschere
corrosive come il Raskolnikov si
Dostoevskij, dove l'idea di rivolta,
lungi dal tradursi "in tratti intellettualistici, astratti (...) è il prodotto
fisiologico, necessario della violenza
economica e sociale", o come l' Akakij Akakievie' di Gogol, umiliato e
offeso, totalmente buono, ma allo
stesso tempo dopo la morte "vendicatore di se stesso (...), persecutore
del potere che l'ha ignorato, tradito, schiacciato': Una simile ipoteca
vive inoltre nella parabola grottesca
rappresentata da Flaubert tramite
Bouvard e Pécuchet, dietro ai quali,
seppur protagonisti d'una bêtise che
nel catalogo finito delle discipline
celebra l'inconsumabilità del sapere
fatto oggetto di se stesso, "c'è infine
un'onestà, un seme genuino e indistruttibile d'umanità, che mancano
totalmente al mondo in cui vivono,
che giustamente diffida di loro e se
ne difende".
All'interno di questo piano cartesiano di massima, con Lukács sull'ascissa e la ferita di Wilson sull'ordinata, ai quali si potrebbero
aggiungere Adorno, che
risuona nel sottotitolo,
o Fortini da una parte, e
Pampaloni dall'altra, si
ricavano chiavi di lettura e valori che, reinterpretando e ampliando
semanticamente il titolo,
Bellocchio ripone nel semenzaio delle pagine, in
attesa che altri si premutino della semina. Vere e
proprie costanti, che, pure nella loro
dichiarata patina didascalica, sono
intercalate senza strappi nel discorso
complessivo, tra un'argomentazione e una citazione, tra un riassunto
biobibliografico e una breve divagazione, tra round critici (come quello
ingaggiato contro Sartre sull'attualità — per Bellocchio parziale — di
Paul Nizan) e righe di servizio; nonché perfettamente assorbite. Sono
"semi" di metodo e — se la formula
non è troppo altisonante — etico-politici. Al primo caso appartengono
passaggi illuminanti come quello, a
proposito di Orwell, relativo all'uso,
da parte anche di scrittori del calibro
di Isaac Deuscher, di concetti quali
l'onestà, la coerenza e la sincerità
"come se fossero circostanze attenuanti", modi per deviare dal tu per
tu estetico; in altre parole, quando
taluni ardiscono paragoni con Joyce o Lawrence,
con Woolf o
Forster per poi
concludere che
"Orwell era di
rango inferiore.
Però era onesto.
E coraggioso",
inciamperebbero in un'omissione critica,
lascerebbero un vuoto grave.
Sulla stessa
scia, anche chi
di Addio a Berlino di Isherwood
ha esaltato l'aspetto storicodocumentario,
ha ignorato "in
modo comodo'
l'aspetto decisivo: "il discorso letterario". E altri
"semi"; o costanti, o valori, si potrebbero annoverare. Basti un ultimo,
che riguarda i generi letterari e la
loro classificazione. Per Bellocchio,
se il fine della lettura è capire e capirsi, conoscere e conoscersi, allora
è indifferente stabilire se dietro una
forma ci sia un romanzo breve o un
racconto lungo, pagine di reportage
o pseudosaggistiche, un documentario sociologico o un'inchiesta, come
in Danilo Montaldi.
Al secondo caso, invece, ineriscono tessere che, se composte, vanno a
declinare la visione etica e politica di
Bellocchio. Bianciardi, per esempio,
funge da purificatore dell'ideologia,
perché applicherebbe la satira non
contro l'ideologia in sé, ma contro
la sua "burocratizzazione"; Orwell
è l'emblema della libertà, di chi
"pur senza tessere, continuò a credere (...) alla necessità di una svolta
in senso socialista"; il Pampaloni di
Fedele alle amicizie e il Böll di Foto
di gruppo con signora rappresentano,
rispettivamente, la voce di chi ha
considerato le "persone comuni". E
la "zona intermedia'; quella costituita da coloro che se non si sono opposti "apertamente al nazismo", aggiungiamo noi al fascismo, "neppure
vi hanno collaborato attivamente";
e in una direzione simile, si colloca
anche Fenoglio — fedele "non a una
dottrina o a un culto" e per giunta
allergico proprio al "carattere confessionale e chiesastico" dei comunisti — e i suoi contadini, che, come
si evince in Una questione privata,
non sono un fondale pittoresco, ma
parte organica della lotta partigiana; Céline incarna l'antistalinismo
e la critica al ceto intellettuale e alle
menzogne dei vertici di partito —
anti-intellettualismo ribadito anche
nel saggio su Pasolini, con un tono
forse ancora più risoluto : "la classe
intellettuale (...) ha dato alla Resistenza un contributo mediocre".
Il saggio su Montaldi, del 1998, si
chiude così: "Una vita giusta e degna
d'esser vissuta postula la messa in discussione proprio della norma sociale, della legalità borghese, il cambiamento dei rapporti su cui si regge".
Un altro seme che dovremmo avere
l'impegno di preservare e innaffiare,
e innaffiare.