Recensioni / Planare leggeri sulla realtà

Mettete insieme un protagonista stralunato, un “tutankamino”, una donna senza orecchio ma non per questo meno affascinante, un postino invadente, una ex persecutoria, una sgangherata compagnia di animali e comprimari, e volerete leggeri.
Sì, perché la storia di Anteo Aldobrandi, Il levitatore di Adrián N. Bravi, fa volare alto: non è solo la leggerezza pensosa di calviniana memoria, condita da un elogio del nonsense, ad arricchirne la trama, ma è anche la prosa giocosa e assurda, fresca e straniante.
Ma andiamo per ordine.
All’età di quattordici anni Anteo comincia a levitare e continuerà a farlo, seppure per pochi centimetri alla volta, ogni qualvolta le circostanze esterne lo richiedano. Ad aiutare il novello Giuseppe da Copertino ci sarà anche quel totem che è l’inseparabile dito imbalsamato del padre, ribattezzato appunto “tutankamino”.
L’arrivo di una busta verde pastello, recapitata da un postino insolente e ficcanaso, darà il via a un tourbillon di carte bollate, avvocati, processi e levitazioni verso il basso, nel senso che la pesantezza delle questioni in cui lo invischierà la sua ex moglie — “la questione Ginetta” come un macigno — impediranno ad Anteo di concentrarsi e decollare. Come uscire da quest’incubo?
Dialoghi surreali, godibili digressioni, tecnicismi e dettagli che spaccano il capello ci aiuteranno a trovare la “dea ex machina” dove meno ce lo si aspetta, nascosta tra monte gerarchiche, deturgescenze e una scombiccherata comune di amici a quattro zampe.
L’affascinante lotta tra gravità e “sgravità”, asse portante dell’intero romanzo, ci permette dunque di seguire le vicende di Anteo Aldobrandi accompagnandone le levitazioni e facendo il tifo per il recupero di questa imponderabile energia cosmica. L’unicità della scrittura di Bravi, già apprezzata nel recente L’idioma di Casilda Moreira, ci consegna una realtà fantasmagorica e onirica, tanto straordinaria quanto inquietante, che ci mette in guardia, con delicata ironia, su assurdità e paradossi delle nostre vite.
Unico rimedio: volare alto.

Si fa presto a dire levita, levita dài, che te ne importa.

Recensioni correlate