1 covid-19 ha come inaugurato una quinta stagione, che si profila differente
da quelle a noi note. Essa
è differente perché sembra
averle messe tutte in stallo, costringendoci a una stasi invernale,
che sí prolunga, attraversando la
primavera e correndo velocemente
verso restate, con la previsione
che possa giungere a superare lo
stesso autunno, per ricongiungersi
all'inverno. E poi non sappiamo
ancora cosa potrà succedere. Sí
tratta dí una stagione trasversale
che è l'esito della stagione dell'impresa.
Proprio l'impresa, ínfattí, fin
dal XIX secolo ha inaugurato una
sua stagione, facendo diventare
produttivo anche l'inverno, che fino a quel momento era una sorta
dí "non stagione". La stagione del
non lavoro, la stagione della stasi.
La creazione di un luogo dí lavoro artificiale, l'allestimento dí un
laboratorio ad uso dell'impresa,
ha permesso dí rendere produttivo anche l'inverno. Salvo poi a
dover inventare una favola della
gratuità per rispondere all'ossessione dell'efficienza. E Dickens
che ce lo insegna, con A Ghristmas Carol («Canto dí Natale»),
non meno che la grande invenzione commerciale del Natale.
Proprio la pianificazione industriale, con l'incentivazione della
monocultura, ha infranto gli equilibri degli ecosistemi, ha mandato
in frantumi il tempo delle stagioni, producendo la crisi sanitaria
che sperimentiamo.
L questa la quinta stagione dí
una natura malata, che ammala í
corpi e costringe all'inverno anche quell'industria che aveva creduto dí potersi creare una stagione a sé stante. Potrà mai l'impresa accettare il ritorno delle stagioni naturali? Potrà adeguarsi alle
stagioni ritmate dall'armonia cosmica? Potrà ripensarsi dentro a
un tempo stagionale?
In realtà, Gilles Clément,
l'ideatore del terzo giardino (Manifesto del Terzo paesaggio, 2005,
Quodlíbet), pensa ad un ibrido.
Non ritiene proponibile un ritorno alla natura pura, non un ritorno al deserto incontaminato, liberato dall'intrusione della mano
umana. Egli pensa ad una specie
di intreccio, dove l'essere umano,
nella cornice della sua proposta
tecnica, riconosce lo spazio alla
natura e permette ad essa un suo
sviluppo autonomo. «L'uomogiardiniere le osserva, ne comprende i meccanismi e alla fine
agisce nell'intento dí favorire una
sorta di incolto addomesticato».
Non più un hortus conclusus, un
giardino sigillato per la sola utilità del monaco contadino, ma un
giardino aperto, senza palizzate,
dove crescono erbe incolte, per la
pura contemplazione della bellezza, senza l'ansia di utilitarismi.
È questo il giardino dí Francesco d'Assisi, spazio ludico non
protetto da diritti dí proprietà, né
da coartazioni funzionaliste. Ed è
molto simile a quello di Clément:
«L molto importante accettare dí
non controllare tutto, perché ín
questo modo si possono scoprire
cose che non arriveremmo mai a
comprendere da soli, cose che
non avremmo mai potuto immaginare e che non saremmo mai stati capací di inventare. Perché
questi luoghi sono
molto complessi, sono
fatti dí esseri viventi
che sí incontrano e
realizzano situazioni
nuove, imprevedibili».
A Parigi, Clément
crea un giardino (Museo dí Quai Branly)
per l'incontro tra culture e religioni differenti. Un giardino che
diventa ambiente educativo. Un giardino,
biodíversità performatíva, che educa al pluralismo sociale, all'asímmetria ospitale,
dove le relazioni tra differenti intonano una vera armonia, una democrazia creativa, capace dí innovazione sociale e imprenditoriale.
Ridare primato all'ambiente e
non solo rassegnarsi a concedere
attenzione alle sue esigenze. Non
solo un ambiente tollerato e inserito a forza ín una pianificazione
imprenditoriale che sí è scontrata
con la pandemia. L'ambiente non
deve essere una zavorra, la sostenibilità ambientale un peso dí cui
farsí carico, solo perché lo impone a forza l'attuale crisi sanitaria.
L'ambiente deve diventare parte
della pianificazione aziendale.
Anzi l'ambiente deve diventare lo
spazio educativo da cui ripartire
per una riconfigurazione dell'impresa. Se davvero l'impresa intende rinnovarsi per rispondere a
questa emergenza, occorre trovare
nuove coordinate educative, nuovi canoni per sostenere una creatività che permetta il nuovo. E
quale modello migliore dell'ambiente naturale, che ín millenni dí
storia ha forgiato la casa dove
l'essere umano è stato ospitato?
Le stesse neuroscíenze, ad
esempio, dicono che la nostra conoscenza deriva dall'esperienza
motoria, che condividiamo con la
specie animale. Le scimmie, infatti, sono state occasione, direi opportunità, anzi, oserei perfino dire, luogo educativo per quegli
scienziati che hanno potuto pervenire alla scoperta dei neuroni
specchio. Nella riconfigurazione
dell'impresa del dopo pandemia,
l'ambiente naturale non deve perciò essere considerato soltanto come centrale, bensì come vero luogo educativo, da cui ripartire per
una nuova visione della realtà,
dell'essere umano, delle sue relazioni e della sua stessa attività lavorativa.
L'impresa, per prima, dovrebbe
porsi come meta quella dí difendere il diritto all'ambiente, bene
primario per l'essere umano. Se
viene meno la salubrità dell'ambiente, come vediamo ín questi
giorni, nessun altro bene prodotto
dall'industria umana può supplirla. Senza l'ambiente sano a salvaguardia della salute qualsiasi altro
bene prodotto dall'uomo perde la
sua utilità, il suo beneficio. L'integrazione ambiente-economia,
dunque, è d'obbligo. Anzi, una
visione integrale della realtà, una
"economia integrale" è condizione
imprescindibile per progettare un
futuro davvero sostenibile. La
quinta stagione dell'impresa dovrà essere costruita sulla base dí
una íntegralítà eco-noníca, perché il pensare dell'ecologia e il fare dell'economia sono entrambi
necessari per la costruzione della
casa comune.