Germanista dal magistero
inimitabile, critico militante temuto per il suo
sarcasmo, influente collaboratore della Einaudi, Cesare
Cases (1920-2005) ha esercitato per
più decenni una formidabile opera
di mediazione della cultura tedesca
nel nostro Paese, di cui è possibile
trovare ampia testimonianza, oltre
che negli scritti pubblicati in vita,
anche nei pareri editoriali, apparsi
nel 2013 da Aragno con il titolo Scegliendo e scartando per la cura di Michele Sisto. Allo stesso Sisto e a Roberto Venuti va ora il merito di aver
raccolto in un ampio volume, edito
da Quodlibet, i saggi e gli interventi
sul Faust di Goethe redatti da Cases
in un arco di tempo che va dal 1949
al 1998: da quando pubblicava sul
quotidiano bolognese «Il progresso
d’Italia» un articolo su Faust, Mefistofele ed il capitalismo, a quando,
sulle colonne di questo «Domenicale», tracciava una sferzante panoramica degli studi tedeschi sul Faust
degli ultimi decenni.
Accanto agli articoli giornalistici,
la «lunga fedeltà» di Cases al capolavoro goethiano è attestata da numerosi lavori critici, finora solo in
parte conosciuti e qui presentati e
annotati organicamente: l’introduzione per una riedizione del Faust,
tradotto da Barbara Allason, apparsa nel 1965 da Einaudi; la revisione
della traduzione di Franco Fortini
per la Mondadori nel 1970, accompagnata da un carteggio con l’autore; svariati contributi scientifici e
divulgativi; e infine un commento,
rimasto incompiuto, per la versione
di Andrea Casalegno uscita nel 1989
da Garzanti. Sia il commento che il
carteggio con Fortini, revisione inclusa, erano inediti. Il lettore può
così seguire come Cases abbia accompagnato, determinandola, l’intera ricezione del Faust nel secondo
Novecento italiano. Senza mai
ostentare il suo straordinario sapere, Cases si rivela un maestro assoluto nell’esercizio filologico, nell’artigianato della traduzione, nel
commento storico-culturale, nella
prassi ermeneutica, partecipando
al dibattitto scientifico internazionale. Se il saggio introduttivo per
Einaudi del 1965 formerà almeno
una generazione di studiosi, il lavoro sul Faust di Fortini contribuisce
a una versione in versi che segna
una svolta nella resa dei classici, influenzando la stessa poesia italiana
contemporanea.
Di tutto questo dà conto con elegante puntualità Michele Sisto, che
nel saggio premesso alla raccolta
degli scritti faustiani di Cases prosegue un’importante ricerca sui
rapporti tra cultura tedesca e cultura italiana nel Novecento (sua anche una documentata postfazione
a una recente riedizione della storica versione di Alberto Spaini del
Processo di Kafka, sempre pubblicata da Quodlibet). Ne risulta un perspicace ritratto di Cases, che sfata il
persistente stereotipo di uno strenuo difensore delle posizioni di
Lukács e mostra invece la duttilità
dello studioso nell’aprirsi e rispondere ad altri stimoli. Nella sua sempre rinnovata lettura del Faust è costantemente ribadita la centralità
politica di quest’opera per l’epoca
moderna, ma muta di volta in volta
l’approccio interpretativo. Avvincente è soprattutto la revisione della traduzione di Fortini, che Cases
motiva caso per caso in un intenso
e spesso divertente carteggio con
l’autore. Alle tentazioni di Fortini di
imprimere ai versi una tonalità «dimesso-sublime» ereditata da Montale, Cases reagisce con scelte lessicali decisamente prosastiche, che
rispondono pienamente al registro
della voce mefistofelica. Ma anche
il commento rimasto incompiuto è
ricco di osservazioni finissime, in
uno stile ammirevolmente stringato e rigoroso, non privo di ironia. Se
la vita dei grandi classici rivive e si
riattualizza ogni volta nella lettura,
nelle interpretazioni e nelle traduzioni, ciò si deve a maestri come Cases, che all’impeto faustiano di conoscere hanno saputo unire un mefistofelico e sano scetticismo.