14 anni Anteo Aldobrandi, gracile e malaticcio, seduto a gambe incrociate su un cuscino, cominciò ad alzarsi da terra. Il protagonista del Levitatore (Quodlibet) di Adriàn N. Bravi da allora ha continuato a sperimentare questa misteriosa forza cosmica, che tenta perfino di insegnare a qualcun altro. Eppure non è un fachiro né un medium. Né l'autore, argentino e ormai da molti anni bibliotecario a Macerata, intende minimamente frequentare il trash della sottoletteratura esoterica. Si tratta invece di un romanzo delizioso e inafferrabile (come il suo protagonista), di stralunata poeticità. Immaginate la grazia del più surrealista Cortázar, immessa nella robusta tradizione italiana dei santi che volano, dallo sciamano Simon Mago che volle sfidare Pietro fino al più rappresentativo (reso celebre da Carmelo Bene), il seicentesco san Giuseppe da Copertino. Alla nostra aspirazione ascenditiva si contrappone una "levitazione díscenditiva', una forza d'attrazione che ci risucchia verso il basso, fatta di greve opacità, del tempo morto del quotidiano, di infiniti "preamboli" da superare. Anteo infatti deve badare alla cagnetta Plotina (il libro è pieno di animali, come una favola) e soprattutto è perseguitato dalla sua ex, che arriva a portarlo in tribunale con accuse pretestuose. Letterariamente è imparentato con la tradizione padana degli strambi e mattoidi: Malerba, Celati, Cavazzoni, e anche Volponi (Anteo, oltre ad essere una figura mitologica che perde forza quando si stacca dal terreno, si chiama il protagonista della Macchina mondiale) però riletti da Borges, filtrati attraverso una levitante visionarietà. Alla fine scopriremo che la magica arte della levitazione cela le sue insidie: ci spinge infatti verso una zona incerta, dove cercavamo la vita e invece troviamo la morte. Secondo il filosofo gli uccelli credono che l'aria sia un ostacolo e invece li fa volare. Così gli esseri umani, insofferenti verso la forza di gravità, non si accorgono che è precisamente ciò che li tiene in vita.