Recensioni / Anteprima Lettera da Pechino, firmata Matteo Ricci

Pubblichiamo una lettera che Matteo Ricci .scrisse dalla Cina nel 1609, l’ultima delle 54, tra quelle ufficiali e familiari, da lui inviate dall’India e dal Celeste Impero nell'arco temporale che va dal 1580 al 1609. Il documento appare nel volume "Lettere" di Matteo Ricci, recentemente edito da Quodlibet (Macerata 2002, pp. 617, euro 46,18). Si tratta della .seconda edizione completa delle lettere del gesuita, che tiene conto di nuove acquisizioni e di aggiornamenti metodologici e storiografici rispetto alla primitiva edizione (ancor oggi prezioso riferimento) curata da padre Pietro Tacchi Venturi.

A1 p. Joao Alvares S.I – Roma
Pechino, 17 febbraio 1609

Pax Xri. Etc.
Quest'anno ricevetti una di V R. de 19 de decembre del1'anno 1605, che mi fece molto maravigliare per intendere di essa che nessuna delle mie lettere di questi anni addietro era venuta costà. Di dove questo sia avvenuto ben lo potrà V. R. immaginare di tanti naufragij e perdite di navi che tutti questi anni calamitosi, e qua e là ebbero i Portoghesi dell'India. Ben securo può stare V. R. che non fu per mancamento de io non scrivere, poi ne havevo obbligo e oblighi si grandi, e quando io me ne fusse scordato hebbe V R. cura di rammentarmi questo con molte sue lettere, piene di carità e compassione de' nostri travagli e con tante belle opere che ci fa e ci manda qua tanto lontano, che pare Dio volse disporre quel pezzo di condiscipulato che hebbi con V R. in Coimbra per aver conosciuto tanto necessario in queste mie necessità nella provincia che mi avvenne nella distribuzione che qua si fece. Sopra tutto mi dolse non aver V. R. anco saputo nove della Bibblia Regia che Le scrissi esser qua arrivata pure, e dell’ultimo travaglio che essa patitte nelle porte di Pechino, in un naufragio che fece la nostra barca, dove perse questa casa più di duecento scuti, et era anco persa la Bibblia, ma fu raccolta nel mezzo del corso del fiume da certi marinari, la quale dipoi riscuotessimo per tre giulij e non più. E benché restò un puoco bagnata, sta pure molto bella e nel suo essere, e tutto il giorno la mostriamo a questi Cinesi li quali vengono a vedere solo per il culto et ornamento di essa, per mezzo del quale fanno grande concetto della nostra Santa legge. Il primo giorno che la mostrassimo ai christiani fu una festa solenne, parmi della Assunzione della Madonna, nel qual giorno dipoi de io dire la Messa conventuale con la solennità che sogliamo, nel fine di essa pigliai la cappa, et posta la Bibblia nel mezzo della chiesa, in una tavola, la incensai tutta avanti de' christiani, con i quali, posti in ginocchioni, dessimo gratia a Dio di mandar a questo regno la sua santa legge di là longi in quei santi libri.
E questi sono il migliore ornamento della mia camera, dove vengono a vederci i principali di questa corte e conseguentemente di tutto il regno, stando da una parte gli scrinij de' libri cinesi, e dall'altra de' nostri, che dall'oro e splendore externo ben dichiarano la differentia che vi è tra gli uni e gli altri.
L'anno passato hebbi nova che anco era arrivata a Nanciano l'altra charità di V R. che sono le opere di S. Agostino et il Theatrum Orbis che sono si bene ligate, le quali ho dato ordine che stiano alla corte di Nanchino, excetto il Theatrum Orbis che lo voglio per tenere in questo capo del mondo sinico, dove è maggiore il concorso. Vorria stendermi molto e dar le gratie dovute a tanta carità di VR. non solo da mia parte, ma anco di tutti gli altri che si mettono a me. Ma chi mi mette a me far questa opra della China più mia che di VR. e mi vogli porre a rendergli gratie di far bene a sua propria cosa? Con tutto lo faccio quanto posto per quello che a me appartiene di questa missione, la qual di niente ho visto creare a tanto essere dalla divina omnipotentia, et insieme priego a V R. che vogli sempre continuare senza stancarsi mai, perché a noi tutto il bene ci viene di là. E conciò sia cosa che siamo poverissimi, di tutto habbiamo necessità, e prometto a V R. che il frutto ha da esser tale, che tutti si hanno da rallegrare di aver agiutato al seminare del campo et alla sua coltura.
Al p. Francesco Pasio do assai minuta relazione delle cose di qua. Penso che egli di tutto darà ragguaglio a N. P e conseguentemente a V. R.; e così non mi allargo in ripeterlo. Io sto già vecchio e stracco, ma sano e forte; lodato sia il Signore!
Hebbi qua per compagno del mio carico, quattro o cinque anni, il p. Manoel Diaz, che pose in fervore questa gente con il suo zelo; e già aveva compra un'altra casa maggiore in Nanciano, dove i christiani, niente sbigottiti della persecuzione dell'anno passato, continuano di frequentare la chiesa più che prima; ma adesso ce lo tolsero per porlo in Macao. E se bene credo che fuse per maggior agiuto di questa missione, per agiutarci la a sostentare con limosine di molti suoi amici che là tiene, nondimeno egli più contento aveva di stare qua dentro, e noi qua anco lo volevamo; non so quello che il p. Francesco Pasio farà.
Il suo luogo mi pose il p. Longobardi, quale spero verrà qua nel fine di quest'anno, perché in dodici anni che qua sta, mai 1'ho potuto vedere, ma adesso è forzato venire qua a dar obedientia per ragione del novo officio.
V.R. anco sarà già vecchio e stanco con tanti travagli che la Compagnia tiene in questi tempi , ma gli meriti saranno uguali ai travagli e alla carità con che agiuta la Compagnia nostra madre nel suo capo e corpo del governo. Qua si va questa opra accomodando ogni giorno di bene in meglio con varij travagli, che hora in una parte, hora in un'altra hanno i nostri. Veggo che habbiamo da avere bisogno di molta gente perché il campo è grande. Sarà buono presto provedere di gente buona e di buono ingegno, perché il nostro negotio si tratta con gente accorta e letterata.
Molte volte domandai di là una Roma vecchia in tavole di rame, assai a proposito per mostrare a questa gente: non so se la lascino di mandarla per non arrivar là le mie lettere o per (non) vi esser da vendere; per questo voglio ricorrere a V R. che è quello che ci procura tante buone cose, chiedendogli che facci sopra questo qualche diligentia e ce la indirizzi a questa corte di Pachino, e tutto quanto di queste cose gli venesse alle mani, sappi che tutte qua sono molte utili.
Nel fine dell'anno passato non so come mi venne alla mente che io qua ero restato solo de' primi che intrassimo in questo regno; e nessuno già vi era che sapesse le cose di quei principij; perciò era buono scrivere tutto per 1'ordine che successe, massimamente che ho saputo scriversi le cose, che per mia mano passorno, assai diversamente da quello che realmente accadde. E così cominciai a fare una relatione che penso in queste parti di là sarà di grande piacere. Se alla partita delle navi verso l’India potessi finite qualche parte essentiale di questa opra la mandarò subito a Roma, dove VR. la vedrà; ma dubito se le occupationi me la lasciaranno fare. Con questa rimendarò, se non mi inganno, tutti i mancamenti dello scrivere de gli anni passati; fra tanto si contenti VR. con le annue del E Manoel Diaz, che sin hora furno, e con quelle che al presente hanno d’ire del p. Longobardi.
Le cose del viaggio del fratello Benedetto de Goes e di sua morte ho scritto là per due vie assai diffusamente; per via dell'India e del Giappone.
Desidero che V R. mi scriva se là anco dubitano essere questa Cina il Gran Cataio; parmi che già si dovrebbe deponere ogni dubbio per esser già molto chiaro. Quest'anno hanno qua d'arrivare quei Mori che venittero nella compagnia del fratello Benedetto, e vedrò se posso riscuotere qualche cosa di quello che gli devono; ma non so se potrò far niente per venire loro qua come prigioni ne se gli poter parlare se non dentro da quello palazzo de' forastieri, dove rare volte posso intrare. E con questo voglio finire la presente, raccomandandomi con tutta questa christianità della Cina ne' sand sacrificij et orationi di V R.

D. V R.
Di Pacchino, a' I7 di febbraio 1609