Recensioni / Una desolata ispirazione biblica

Soldati e altre prose di Giulio Trasanna (1905-1962) fu pubblicato da Guanda nel 1941, tre anni dopo l'esordio di Annate (edito a Milano da Casiroli), raccolta di versi apprezzata tra gli altri da Giorgio Caproni ma rimasta "in ombra" (così lo stesso Caproni) e subito sparita nel vasto dimenticatoio novecentesco, come di norma avviene con le figure non ascrivibili a qualche canone o tendenza mainstream. Eppure anche Franco Fortini, nella prefazione del 1965 alla seconda edizione di Foglio di via, discorrendo di sé e degli anni a cavallo tra i trenta e i quaranta, ricordava come fosse pur esistita, in modo carsico ma senza mai del tutto estinguersi, "una vena alimentata dall'espressionismo e dall'ala sinistra del surrealismo, più riconoscibile nella prosa che nella poesia" (ora in Franco Fortini, Tutte le poesie, Mondadori, 2014); e tra i nomi di "quasi sconosciuti" di quel tempo faceva proprio il nome di Trasanna, come di uno che "aveva capite alcune parole essenziali'; espressione di "una ricerca verbale di tragicísmo anarchico, tutta ancora da indagare".
E quanto mai opportuna e anzi dovuta, dunque, la riproposizione di Soldati per i tipi di Quodlibet e l'eccellente curatela di Riccardo Donati, firmatario della Premessa al testo e di una attenta ed ampia postfazione, Laggiù, oltre le canne e le erbe e la terra di fumo. Soldati di Trasanna. Oltre alle ricostruzione genetica del libro, abbiamo infine una interpretazione ad ampio raggio, sia sul piano stilistico che d'inquadramento storico, dell'autore. Tra le tante notazioni del curatore, si ricordino qui la messa a fuoco della "desolata ispirazione biblica" della scrittura di Trasanna, nonché la ricognizione della sua natura "corale" e l'accento posto, in conclusione, sull'essere quell'opera "l'accorato, ma lucidissimo, racconto di un popolo tradito, poi disperso, infine abbandonato al suo destino: un poema di poche parole, scritto in omaggio a milioni di esseri umani `oscuri' e `dimenticati', e per questo amati da chi, come Trasanna, sin dalla più tenera età ne ha condiviso la sorte".
E un tema manzoniano e anch'esso carsico, questo del disperso e dei senza nome, che nel massacro della prima guerra mondiale trova una declinazione spietata e risolutiva per la rivelazione del carattere distruttivo del Progresso, quale fu fotografato da Walter Benjamin in un celebre passo del saggio su Leskov (1936): "Una generazione, che era andata a scuola ancora con il tram a cavalli, stava, sotto il cielo aperto, in un paesaggio in cui niente era rimasto immutato tranne le nuvole, e nel centro — in un campo di forza di esplosioni e di correnti distruttrici — il minuto e fragile corpo umano". Se in Ungaretti o in Rebora quel momento fatale venne colto, esemplarmente e come "in diretta', nel registro lirico, Trasanna, che scriveva a posteriori e sulla base dei ricordi d'infanzia, seppe farsene interprete coerente ed efficacissimo proprio perché in lui non viene mai meno il punto di vista dal basso, di chi esperisce sulla propria pelle, a prosecuzione di altre antiche condanne, il presente. Così nei frammenti di un unico flusso poematico si depositano straordinarie visioni della natura e dell'umano messo a confronto con l'inumano, quasi che la natura stessa e la non-storia dei vinti fossero vasi comunicanti; e l'esplosione della polveriera di Sant'Osvaldo a Udine (27 agosto 1917), "quel gran pandemonio oltre la ferrovia', può diventare 1 emblema e insieme l'annuncio dell'ingresso tragico nella vitae nella verità del nostro tempo.