Recensioni / Tacito, Germania, di Dino Baldi (Quodlibet)

Una sfida, quella dell’esimio Dino Baldi, filologo classico, scrittore e saggista: rileggere un libro erroneamente considerato ‘minore’ di Tacito, La Germania – che al contrario rappresenta un fondamentale esempio di monografia etnografica arrivato a noi dall’antichità – con l’acutezza di uno studioso moderno e l’ approfondimento non solo del contesto in cui l’opera è stata scritta ma anche di quello precedente e di quello successivo, in una visione a 360° che ci restituisce la filosofia ispiratrice in tutte le sue sfaccettature: di conoscenza etnogeografica, di sostegno alla politica imperiale ma, ancora più intimamente, di denuncia della decadenza di valori della società in cui Tacito viveva. Una denuncia che si spinge, nella sua amarezza, ad apprezzare, per contrappasso, i popoli germanici nella loro primitività.
Il libro edito da Quodlibet, seria e raffinata casa editrice indipendente, che ha già al suo attivo altri libri dell’autore, è molto accattivante, nel suo formato tascabile che vuole affermare la modernità di un testo classico che ha ancora tanto da dire, soprattutto se raccontato da un esperto che alla conoscenza unisce una vena narrativa scorrevole e moderna.
Si apre con un’Introduzione che sa già catturare l’interesse del lettore, colpendolo con una serie di informazioni storiche giornalisticamente vestite da notizie scoop.
Dal disastro di Teutoburgo che, al di là del bruciante scotto politico dimostrò chiaramente che i territori al di là del Reno erano tutt’altro che domati e pacificati, segnando così uno spartiacque fra l’impulso di conquista come affermazione quasi spudorata di potenza ed un atteggiamento più timoroso per il diffondersi della concezione del barbaro come di un pericolo reale. Dopo Teutoburgo, dice Baldi, I Germani arrivarono in molti casi a dividere il podio con il nemico orientale di sempre, I Parti.
Oltre a Teutoburgo, che ha lasciato una cicatrice incancellabile nell’animo romano, ci fu un altro episodio bellico particolarmente impattante, seppur meno noto, quello della Lega Germanica che si costituì nel 69 d.C. sotto il comando del principe batavo Giulio Civile romanizzato e prefetto di una coorte ausiliaria che impegnò le truppe romane fino al 70 d.C.
Se ci si aspetta infatti un mero intento propagandistico, si rimarrà delusi, perché nell’analisi di Baldi, l’opera di Tacito, al contrario, rivela, al contrario, una valorizzazione di quegli aspetti di primitività che caratterizzano i popoli extraimpero del suo tempo, l’assenza del superfluo fa sì che non conoscano quelle raffinatezze e malizie che si sono infiltrate nei costumi romani: il principato è una necessità storica che segna al tempo stesso il punto più alto e il più basso raggiunto da Roma: non è l’inizio di una nuova era, non è una giovinezza, ma il segno palese della decadenza, e i Germani, al grado zero della civiltà, sfrenati come bambini appena affacciati alla ribalta del mondo, sono il mezzo che Tacito utilizza per dimostrarlo. Riflettiamo bene su questa visione. E Baldi è ancora più esplicito: Le invasioni, si insegna ancora a scuola, danno il colpo di grazia ad un impero oppresso dalla sua stessa grandezza; sono il suggello della decadenza, segnano l’inizio del Medioevo. Se però si cambia prospettiva, sono l’alba del rinascimento per popoli confinati e compresi all’interno di terre inospitali: sono migrazioni che preludono a una nuova fase della storia d’Europa.
La Germania di Tacito è stata ben più importante ed influente nei secoli successivi, fino al nostro, di quanto si possa immaginare. Nel periodo romantico su questo testo si elaborò una teoria della giovinezza e della vecchiaia dei popoli, per la quale i popoli del Nord, eternamente giovani, erano predestinati a rinnovare il mondo (…). I tedeschi, mai come allora vollero assomigliare ai loro progenitori: da Fichte ai Grimm, da Mommsen a Wilamowitz e infine a Chamberlain, Tacito fu preso come punto di riferimento per misurare la purezza di istituzioni, caratteri e abitudini germaniche.
È il capitolo 4 a presentare una prospettiva che il nazismo sfruttò a proprio vantaggio, per appropriarsi della Germania di Tacito come del proprio poema epico: “I Germani non si sono guastati unendosi ad altri popoli, ma sono rimasti una razza a parte, pura e simile solo a sé stessi. Questa è la ragione per cui si somigliano tutti, per quanto è possibile in una popolazione così ampia: occhi azzurri e penetranti, capelli fulvi, corpi imponenti e buoni solo per gli assalti”. Non è una lettura corretta, quella a sostegno delle politiche razziali del regime nazista: i Romani non hanno mai avuto il mito della purezza della razza, anzi, erano per l’espansione e l’integrazione, la concessione della cittadinanza sempre più estesa, fin dall’epoca monarchica quando la commistione di sangue latino-etrusco nella dinastia dei Tarquini era sentita come un pregio. La sottolineatura di Tacito è probabilmente mirata all’aspetto puramente geo-etnografico, quello della separazione dei Germani veri e propri da altri popoli, come i Galli e i Celti, i quali si erano da tempo integrati coi Romani.
Dopo l’Introduzione, si può quindi leggere d’un fiato il testo originale in una suggestiva traduzione. Nella prima parte ci viene presentata la cultura germanica in senso generale, descrivendo usi e costumi dei popoli visti unitariamente solo per contrapposizione alla cultura romana.
È una sorta di diario di viaggio, l’osservazione dal basso di un paese attraverso il contatto con la gente, nel quale qualche volte alla realtà si mescola la fantasia di leggende e del paravento del “si dice, si racconta” che ammorbidisce i toni dello storico con le sfumature del narratore: “I banchetti sono anche l’occasione per risolvere le inimicizie, combinare matrimoni, scegliere i capi e infine discutere della pace e della guerra, come se in nessun’altra occasione il loro animo si aprisse a pensiere semplici o si infiammasse ai grandi. Popolo ingenuo e senza malizia, nella libertà conviviale svelano ciò che fino a quel momento tenevano chiuso dentro di sé, così che la mente di tutti appare scoperta e nuda. Il giorno dopo riprendono in mano la questione e il principio di ciascun momento è salvo: discutono quando non possono mentire, decidono quando non possono sbagliare”.
Oppure si può entrare nel Commentario di Baldi con la sicurezza che non si affronterà qualcosa di “riservato agli eletti”, perché ogni capitolo è stato preso come traccia di uno svolgimento più approfondito, con la scelta dell’autore di distinguere le informazioni esegetiche e comparative (analisi lessicale-sintattica e confronto con la tradizione etnografica classica) da riflessioni più amplie e curiose divagazioni sulle abitudini, sulla vita quotidiana, sui riti, sulla lingua, sulla mitologia.
Ed anche questo un appassionante viaggio storico-culturale nelle terre del nord, che con paludi e boschi favorivano le imboscate piuttosto che le battaglie campali, nel clima freddo impositore di usi molto diversi da quelli che si erano sviluppati nella temperata Roma, come la raccolta di frutti selvatici e l’assenza di frutticoltura; mentre invece era diffusissima la cerealicoltura. Ci sembra di visitare quelle abitazioni frugali, nelle città isolate che utilizzavano la distanza come difesa al posto delle mura.
Più volte, inoltre, ritorna evidenziata nei vari popoli, la semplicità e modestia delle donne che Tacito evidenzia come per riprendere la vanesia appariscenza delle donne romane, così come la rude schiettezza degli uomini che si ubriacano smodatamente è contrapposta in una visione positiva alle dissimulate e viscide arti dell’intrigo tessute nei raffinati salotti romani.
Nella seconda parte, invece, ci vengono presentati tutti i popoli germanici e celtici, con la loro esatta provenienza territoriale, gli spostamenti nella scacchiera dell’Europa dei primi secoli d.C. preannunciando quella pressione sui confini che esploderà qualche secolo dopo. Come in un documentario sfilano davanti a noi, simili ma anche diversi, Galli, Catti, Cherusci, Cimbri, da tempo in contatto con Roma, prima da nemici poi da integrati. E ancora gli Suebi, i Semnoni con cui ebbe soprattutto a che fare Cesare; i Gotoni provenienti dalla Scandinavia, alleati dei Marcomanni e identificati successivamente come Gothi; i Suiones, antico nome degli Svedesi, popolo di navigatori e commercianti; i Longobardi, i Batavi per lo più alleati dei Romani nonostante la breve parentesi della rivolta con Giulio Civile, e tanti altri, molti dei quali li ritroveremo nelle calate dell’alto medioevo, mentre altrettanti confluiranno in gruppi vicini.
Ma qui, siamo a primordi, quasi una creazione dell’uomo germanico, in tutta la sua varietà di provenienza e cultura. È un caleidoscopio umano che Tacito ci offre in modo sintetico e mirato. Per questo La Germania continua a parlarci perché racconta la nostra storia ed evoca la nostra parte di buio, è un modo per riconoscerci e per riappropriarci di ciò che siamo stati e che siamo ancora oggi: barbari e civili, familiari e odiosi a noi per primi. Il riconoscimento di questa complessità e delle contraddizioni che contiene è il primo passo verso l’unica forma possibile di civiltà europea.