Recensioni / Il magistrale saggio di Riegl. L'arte passa sugli antichi tappeti orientali

L’apprezzamento del tappeto, come oggetto d'arredamento risale a un tempo immemorabile; ma la coscienza del suo possibile valore artistico si è manifestata, in sede critica, solo alla fine dell'Ottocento: soprattutto grazie agli studi innovativi del «geniale viennese» Alois Riegl (1858-1905).
Si tratta di studi volti a sottrarre alla «tirannia dell'estetica normativa» forme d'arte meritevoli d'essere apprezzate perché obbedienti ad una «volontà artistica» (o Kunstwollen, secondo il termine coniato dallo studioso austriaco) diverse da quello riconosciuto dalla scala di valori tradizionale. Ben noto ai più colti studiosi d'arte italiani (Longhi cita il «geniale viennese» a cominciare dal '16), Riegl è ora riproposto ai meno pigri lettori nostrani con un libro eccellente, edito da Quodlibet di Macerata: un libro in cui il magistrale saggio sugli Antichi tappeti orientali, tradotto e commentato da Alberto Manai (specialisla informatissimo anche se incurante dei contributi di Gombrich, v. Il senso dell’ordine, ed. Eiuaudi) risulta accompagnato da un ricco apparato illustrativo, doppio rispetto a quello dell'edizione tedesca del 1891, e integrato da un «suggestivo intervento» di Sergio Bettini sulla Poetica del tappeto orientale.
Secondo Riegl, il tappeto orientate, sia tessuto ad arazzo che annodato, non si addice al moderno sistema di produzione meccanica ma è . strettamente connesso al «più primitivo fra tutti i sistemi di produzione, quello del lavoro domestico», diffuso e persistente tra i nomadi asiatici. In concomitanza con la riforma delle arti applicate, in sviluppo in Europa dalla metà del XIX secolo, si spiega l’interesse crescente per l’arte orientale, ma secondo Riegl «è assolutamente impensabile una resurrezione dell'ormai obsoleto lavoro domestico»: «l'unica possibilità di salvare le attrattive degli antichissimi tappeti orientali, potrebbe essere data da una loro ragionevole trasposizione nella moderna tessitura europea». Ma quelle meravigliose attrattive - ci si chiede - sono davvero suscettibili di una rianimazione «col venir meno del lavoro manuale»?
La risposta di Riegl a questa domanda è piena di ragionevoli perplessità. E il suo saggio - articolato in cinque capitoli in cui è descritta magistralmente l'evoluzione delle varie specie del tappeto-si chiude con l'accenno «all'ultimo nomade dell'Asia centrale», accanto al quale verrà posto «nella tomba l'ultimo autentico telaio a mano da tappeti». Poco prima - è vero - risultano segnalati «alcuni tentativi veramente notevoli» di effettuare la trasposizione, o rianimazione, considerata in via ipotetica. Ma, come ha notato Manai, in Riegl permane la convinzione che 1'arte popolare del tappeto annodato è radicata nelle condizioni strutturali, di specie tecnico-economica, in cui si è concretamente, storicamente realizzata. Le sue forme specifiche - illustrate sulle pagine di Hali, il più noto periodico internazionale sull'argomento - si trasmettono, costituiscono filoni diversi, sempre in relazione a un certo contesto.
Al di fuori di questo contesto, al di fuori delle consuetudini del lavoro manuale domestico - come potrebbe quest'arte del tappeto sopravvivere? L'evolversi delle forme di produzione, che hanno portato alla meccanizzazione, ne consentono davvero una continuazione non artificiosa?
Secondo il curatore del saggio ora tradotto, «le ultime ragioni dell'arte vanno per Riegl ricercate al di fuori di essa, nelle condizioni generali di una civiltà, di cui l'arte, certo non in maniera meccanica è l'espressione». Si è anche sostenuto che la sue concezione dell'arte sarebbe «sostanzialmente positivistica» richiamandosi a «leggi stilistiche» valide anche per le arti dette minori. Ma queste conclusioni risultano troppo poco aderenti al complesso metodo di Riegl, rivolto a individuare i caratteri stilistici delle varie culture del tappeto in stretta connessione con le circostanze storiche in cui si manifestano. Il suo merito principale è quello di averci dato - specialmente con l’Arte tardo romana, ed. Einaudi - «l'editto di tolleranza» (Pächt) della scoria dell'arte, ossia un criterio che ha consentito la riabilitazione di culture artistiche considerate decadenti secondo una visuale tradizionalistica, ristretta e preclusive. Ma i limiti di questo metodo emergono quando la rivalutazione si mantiene in un ambito generalizzante, «puramente descrittivo delle trasformazioni stilistiche, scevro di qualsiasi valutazione» (Gombrich, 1997).
In particolare, in questo saggio sul tappeto, l'interesse evoluzionistico e storicizzante per la tendenza culturale prevale di gran lunga sull'indagine particolareggiata e accostante delle opere più intense. In parole povere, i tappeti migliori non risultano abbastanza caratterizzati nella qualità, o «poesia visuale», che 1i anima.
Nell'intervento di Sergio Bettini, incluso nel libro, il compito di individuare la qualità delle singole opere è rimesso alla critica. «Senza un'estetica fenomenologica - precisa Bettini - la critica rimarrebbe. senza strumenti»: ma si deve aggiungere che, se spetta alla critica riconoscere la qualità peculiare di un tappeto, il suo intervento non è aggiuntivo ma costitutivo di ciò che fa di quel certo tappeto non un oggetto d'arredamento, ma un'opera d'arte apprezzabile quanto un capolavoro di pittura o di architettura.
In vista della nona Conferenza internazionale sul tappeto orientale, che si terrà in Italia nel 1999 - spetta dunque ai seguaci o continuatori di Riegl, il lavoro di integrarne l'opera con tenute dirette e approfondite dei tappeti ora riprodotti a colori: per rilevare, «accertare e soprattutto definire la natura dell'innovazione e il suo grado di originalità» rispetto ad altri tappeti, noti sono una costellazione estetica simile o diversa. Altrimenti l'editto di tolleranza riegliano rischia di essere usato in modo avalutativo e non ci consente di distinguere le opere che più contano.
L'indifferenza per gli aspetti qualitativi, nel clima del relativismo assoluto, è già abbastanza diffusa. I processi di riabilitazione frettolosi e incauti si sono infatti moltiplicati anche a vantaggio di opere che non rientrano in una vera storia dell'arte, capace di «ritrovare - come precisava Sedlmayr- il suo rilievo assiologico>> ossia il giudizio di valore. È significativo, e consolante, che anche uno storico di grande levatura come Francis Haskell, nel suo recente libro su Le immagini della storia (ed. Einaudi), abbia riconosciuto esplicitamente che «ai giudizi di valore spetta un ruolo fondamentale nella determinazione dell'importanza di un'opera». La qualità, anche nell'ambito dei tappeti, se resta indeterminata, sfugge. O rischia di essere esaltata da suggestivi fumi pubblicitari, anche dove non esiste.