Un video postato sul web pochi giorni fa mostra alcuni
uomini di colore, afrodiscendenti, tentare di impadronirsi di un manufatto esposto al Musée du Quai de Branly di Parigi. Sotto la spinta del movimento #blacklivesmatter, i
cinque passeggiano per le sale, declamano con tono molto agit
prop accuse contro Chirac, Sarkozy, Macron, giù fino a Napoleone, rei di aver saccheggiato un patrimonio che apparteneva al
popolo africano. Solcano i corridoi imbracciando una statua
lignea. Dove vogliono depositarla? Il loro gesto è chiaramente
simbolico. Davanti al video mi sono chiesto se quella piccola
scultura facesse parte dei 3.500 oggetti giunti in Francia negli
anni Trenta, a seguito della missione etnografica e linguistica
Dakar-Gibuti avvenuta tra il 1931-1933, promossa da un gruppo
di giovani ricercatori del Musée d'Ethnographie, e diretta da
Marcel Griaule.
Il 1931 fu un anno cruciale per gli studi etnografici francesi.
La missione guidata da Griaule, partita da Bordeaux il 19 maggio, pose le basi per una svolta metodologica, mettendo a punto
una nuova pratica di osservazione. Nasce insomma l'etnografia
francese sul campo. Pochi giorni prima era stata inaugurata a
Parigi l'Exposition coloniale internationale 1931, un polo fieristico eretto sul lago Daumesnil nel Bois de Vincennes, composto
da una serie di padiglioni, ognuno dei quali dedicati a un paese
dell'Impero d'Oltremare. È contro questa visione “fantasmagorica", coloniale, esotica, dell'esposizione etnografica che Griaule
sembra muoversi, appoggiato da una serie di collaboratori. Tra
questi Michel Leiris, che lo seguirà in questo lungo viaggio. Gli
viene assegnata la mansione di segretario-archivista. Da questa
avventura ricaverà un libro straordinario, intitolato L'Africa
fantasma. Possiamo finalmente rileggere le magnifiche pagine
di questo diario africano che Leiris scrisse e pubblicò nel 1934
senza rivedere il testo, mantenendolo diretto, senza fronzoli, lucido come l'osservazione sul campo richiede. L'ha ripubblicato il
tandem Quodlibet/Humboldt nella collana Atlas. La splendida
cura di Barbara Fiore, etnologa che ha documentato i rituali, i
sistemi simbolici di varie culture africane, aggiunge ora alla
nuova edizione una serie di note, frutto di uno studio approfondito su fonti manoscritte: appunti, lettere, minute, che gettano
nuova luce su questo viaggio, sulle riflessioni dello scrittore.
Due movimenti separati da un intermezzo fluviale. L'Africa
fantasma si presenta così, come un film, o una sinfonia. Il primo
rende il piacere del viaggio, l'ebrezza dello spazio percorso (una
sorta di "aerazione psichica" l'aveva magistralmente definita
Guido Neri nell'introduzione alla prima edizione del libro, uscita per Rizzoli nel 1984). Notiamo gli spostamenti continui, il
paesaggio polveroso, le idiosincrasie dello scrittore: scoramenti,
momenti morti, sfoghi, i suoi sogni. Il secondo movimento è di
ordine teatrale e rovescia la situazione percettiva del primo.
Leiris delimita la scena, si concentra sull'osservazione meticolosa di rituali e possessioni, sulla loro ossessiva registrazione. Sono pagine magnifiche, scandite da uno uno slancio scientifico,
erotico, quasi religioso - uno stato di trance nella trance (si
pensi al sacrificio di Emawayish: "Ho visto Emawayish in trance roteare la testa e fare oscillare il busto, i tipici movimenti del
gurri. L'ho sentita con una voce più grave del solito declamare il
tema di guerra di Abba Moras Worqié, inframmezzato da ruggiti. L'ho vista bere sangue. L'ho anche vista seduta, con in testa il
peritoneo e l'intestino arrotolato intorno alla fronte, poi, alla
base delle sopracciglia, disposto a mo' di cresta fino alla nuca -
velo delicato e superbo cimitero scintillante nella penombra,
con uno sfavillio azzurrognolo che ricorda il colore delle sue gengive, dipinte all'abissina sopra i denti color latte. E non
avevo mai sentito fino a che punto sono religioso; ma di una
religione in cui è necessario che mi si faccia vedere dio..." -14
settembre 1932).
Tra Dakar e Gibuti le pagine del libro si pongono in equilibrio
tra diario intimo ed etnologia, come un'autobiografia senza memoria, in cui è il presente a dominare. L'Africa fantasma è il
cardine, eccentrico, di quel progetto di autoanalisi che accompagnerà Leiris per tutta la sua carriera di scrittore. La nota di
accompagnamento del suo curriculum professionale, consultabile presso la biblioteca del Musée de l'Homme, spiega il perché
di questa scelta autobiografica: "La sua esperienza nel campo
dell'osservazione etnografica lo ha aiutato nei suoi tentativi di
descrizione di se stesso: non è stata forse - oltre all'influsso di un
trattamento psicanalitico - l'abitudine di prendere un atteggiamento di osservatore di fronte ai fenomeni umani, che gli ha
permesso di farsi testimone, esterno in qualche modo, di ciò che
accade in lui?". Questo sguardo distanziato su se stesso possiede
il medesimo contro-esotismo che Griaule ricercava nella sua
missione etnografica.