Recensioni / Il viennese dei tappeti

Antichi tappeti orientali; il primo libro del padre della Scuola di Vienna. Nell'alternativa tra decorativismo saraceno e monumentalismo romanico il significato profondo della polarità Oriente-Occidente

Un’ operazione culturale di indubbio rilievo, quella che la casa editrice Quodlibet di Macerata ha messo a segno mandando in questi giorni in libreria lo straordinario volume di Alois Riegl dedicato all'arte orientale del tappeto (Antichi tappeti orientali, a cura di Alberto Manai, pp.242, £. 58.000 e uno scritto di Sergio Bettini). Un volume che ha il pregio di sprovincializzare un paesaggio editoriale come quello italiano: dove purtroppo nel settore della storia dell'arte si continuano a registrare le assenze di testi imprescindibili, la cui mancanza ha del resto nuociuto sulle effettive possibilità di dialogo espresse delle diverse sponde metodologiche direttamente "sul campo'".

Conoscitori contro filosofi Particolarmente, poi, tra la tradizione italiana, da un lato, e la grande tradizione ottonovecentesca tedesca e viennese, dall'altro: come dire la scuola filologica dei grandi conoscitori a petto di una storia dell'arte che invece da subito si è riconosciuta negli orientamenti filosofici e speculativi di una vera e propria Geistgeschichte. In quest’ottica la scarsa circolazione e fruizione, soprattutto in ambito universitario, dell'opera di Riegl (1858-1905) in Italia è assai eloquente. Solo negli ultimissimi anni, infatti, sono state affiancate le prime traduzioni di suoi importantissimi studi (Problemi di stile; Grammatica storica delle arti figurative, Scritti sulla tutela e il restauro; Il culto moderno dei monumenti) a quello che resta un caposaldo d'indagine storiografica e di comparazione stilistica: il saggio dedicato all'Industria artistica tardo romana. Le uniche pagine con cui, in pratica, avevamo conosciuto il fondatore della scuola di Vienna in Italia, erano state tradotte però "solo" cinquant'anni dopo la loro prima pubblicazione nel 1901. Con Industria artistica tardo romana, Riegl era stato introdotto a suo tempo in Italia attraverso un po' quello che rappresenta l'apogeo della sua elaborazione teorica: condotta negli ultimi anni, durante l'insegnamento universitario a Vienna dopo il 1897. E se quello era il segno evidente di un densissimo e lungo lavoro di ricerca - che Schlosser riconobbe come il prodotto di una riflessione determinata, «da un punto di vista vitalistico, da un impulso formale che ci è connaturato, liberamente e autonomamente creato delle combinazioni geometriche di linee, senza avere precedentemente frapposto un elemento materiale intermedio» - questo sugli Antichi tappeti orientali (1891) costituisce quasi l'avant propos metodologico di quei mirabili approdi.

Lo chivran di Mantegna a San Zeno
Cosicché ben presto lo studio del tappeto orientale diverrà agli occhi di Riegl un prezioso banco di prova per la messa in forma di quei criteri oggettivi che nel loro variegato e problematico insieme concorrono ad evidenziare un sistema di valori sovraindividuali solo più tardi maturati pienamente nell'elaborazione del concetto di Kunstwollen (la volontà d'arte di ciascuna epoca), evidenziato nel trapasso dei modelli formali classici dall'antichità al Medioevo, fino all'età barocca. Un interesse, quello per l'arte orientale dei tappeti, sorto e coltivato appassionatamente da Riegl mentre ricopriva, dal 1887 al 1898, l’incarico di direzione al dipartimento Tessuti nel Museo Austriaco per l'Arte e l'Industria. Dava vita così ad un'analisi storica prima e poi stilistico-comparativa di un sistema di decorazione delle superfici basato sul trattamento di una sola faccia: così come si era imposto in Oriente col sorgere dell’Islam e col dilagare della signoria araba, è giunto ad affermarsi in Occidente nel periodo tardoantico è in procinto di trasmigrare caratteri e movenze stilistiche già nell'incipiente industria domestica europea (Hausindustrie), relativamente alle regioni della Scandinavia e dell'Europa sudorientale. Riegl entrava insomma nella carne viva dell'universo delle forme scendendo nei meandri della pura decorazione, quella stessa che respira sottopelle nella pittura europea sin dagli albori quattrocenteschi: il tappeto chivran colto da Mantegna sono i piedi della Vergine a San Zeno; quelli probabilmente levantini, stesi in onore degli Ambasciatori nelle stoice di Sant'Orsola di Carpaccio; fino alle fascinazioni nordiche di Holbein, e di Memling nel Matrimonio mistico di Santa Caterina. Mentre è sempre un sottofondo comune d'indagine ad incalzare raffronti, interpretazioni, nuove congetture. Ossia che a partire dal Medioevo «mentre in Occidente ci si impegnava a fondo nella soluzione di nuovi difficili problemi costruttivi, ci si affaticava nel tentativo di dominare le masse con arditi espedienti di statica e con la configurazione di spazi possenti, nell’Oriente saraceno giungeva a compimento quel sistema di ornamentazione delle superfici chiuso in se stesso che ci ripaga a usura della mancanza di quel che noi occidentali, perlomeno a partire dall'epoca romanica, siamo abituati a pretendere dal1'arte in forza della nostra concezione monumentale.