Brandelli di Africa addomesticata e trasformata in fenomeno da baraccone sono
stati appena montati nel
Bois de vincennes per
l'Esposizione coloniale internazionale di Parigi del 1931 quando
Michel Leiris si imbarca per partecipare
a una missione etnografica e linguistica
da Dakar a Gibuti, guidata da Marcel
Griaule. Durerà quasi due anni, da maggio fino al febbraio del 1933. Trentenne,
vi prende parte come segretario-archivista e ricercatore. Lo scrittore surrealista
dissidente non ha ancora una formazione etnografica, ma è incuriosito dal continente fin da quando, undicenne, ha assistito a una rappresentazione di impressions d'Afrique, di Raymond Roussel,
amico di famiglia. «Stanco della vita che
faceva a Parigi, considerando il viaggio
come un'avventura poetica, un metodo
di conoscenza concreta, un mezzo simbolico per fermare la vecchiaia percorrendo lo spazio per negare il tempo» -
scrive egli stesso in una quarta di copertina - decide di prendere il mare.
«Captare le voci di un altro mondo.
Abbandonare tutto. Partire per le strade»
prescriveva del resto André Breton, fondatore nel 1924 con Louis Aragon del
movimento surrealista, come reazione
alla devastazione della Grande guerra. Il
programma del primo manifesto ambiva al raggiungimento di un «automatismo psichico puro col quale ci si propone
di esprimere, sia verbalmente, sia per
iscritto, sia in qualsiasi altro modo, il funzionamento reale del pensiero».
E forse, nonostante la rottura con
Breton, nel '29, c'è anche questo proposito nella mente di Leiris quando decide
di tenere un diario dove registra senza
mediazioni quel che pensa, quel che fa e
quel che accade durante la spedizione.
Non è il suo un resoconto «completo»,
Leiris cerca di riferire ciò che ha un «suo
valore dal punto di vista dell'autenticità
del racconto». Annota le ricerche sulla
circoncisione e sulle società infantili,
sulle lingue segrete, sui fenomeni di
possessione, oltre agli spostamenti, alle
complicazioni organizzative, ai pettegolezzi coloniali, a tutto ciò che gli passa
per la testa, compresi i suoi dubbi sulle
potenzialità della ricerca etnografica:
«non ci si avvicina molto agli uomini avvicinandosi ai loro costumi. Essi restano, dopo come prima dell'inchiesta,
ostinatamente chiusi». Racconta senza
imbarazzo i furti che anche lui si presta
a compiere quando le popolazioni locali
non vogliono vendere i loro oggetti sacri. Riferisce l'ebrezza del sacrilegio, e in
generale registra l'effetto che ogni cosa
gli suscita. Riferisce perfino delle sue
polluzioni notturne. Sono appunti schematici di azioni, fatti. Rarissime le descrizioni. L'obiettivo, ambizioso, che gli
si chiarisce col tempo, è di arrivare a
«una antropologia generale attraverso
l'osservazione di me stesso e quella di
individui appartenenti ad altre società».
«Non sono capace di parlare di ciò che
non conosco (...) se c'è una cosa che un
uomo abbia qualche titolo per conoscere
e possa avere la pretesa di formulare è sé
stesso, dunque le ombre del mondo, delle sue creature e delle sue cose, come si
proiettano sul suo spirito» osserva. Ecco
nascere L'Africa fantasma, inconoscibile:
l'unica cosa che si può osservare sono i
riflessi che proietta sul soggetto, riflessi
caleidoscopici che possono tradursi in
una maggiore consapevolezza di sé. Un
libro che esplora dunque l'impossibilità
dí «captare le voci di un altro mondo»,
rinnegato da Griaule per la scarsa scientifidtà delle osservazioni e per la pessima
figura che faceva fare agli etnografi, tornato ora nelle librerie italiane a cura di
Barbara Fiore, che ha integrato le annotazioni delle varie edizioni francesi, inserito una sua postfazione e un testo di Jean
Jamin (curatore dell'opera di Leiris e suo
amico) e 40 foto in parte inedite.
All'inizio, come Leiris stesso ammette, se critica vi è nei confronti dei metodi
dell'etnografia, «è più intuitiva che riflessiva». Il suo quaderno semplicemente scivola «verso il "diario", come se, limitandosi ad annotazioni esterne e tacendo di sé, l'osservatore falsificasse inevitabilmente il gioco mascherando un
elemento capitale della situazione concreta». Riflessioni, queste, che si stanno
facendo strada in diversi campi: sono infatti gli anni in cui ci si comincia a interrogare sulla possibilità di osservare senza alterare (il principio di indeterminazione di Heisenberg è del 1927). Sulla nave che lo porterà in Senegal, Leiris
riferisce di discutere con il decano della
spedizione «della matematica simbolica,
(dell'impossibilità di concepire un fenomeno in modo più semplice di quello
dualista)». Non si deve però - secondo
Jamin - spingere queste riflessioni troppo a fondo: sbaglia chi vede in Leiris una
paternità nell'approccio decostruttivista
dell'etnografia.
Il viaggio sarà una delusione, a Leiris
si possono rivolgere le parole che egli
stesso dedicava a Roussel: viaggiò «senza lasciare un solo giorno la sua dimora»
quella sontuosa e terribile che il suo immutabile tormento interiore gli edificava. II cuore di tenebra dell'Africa altro
non è che la tenebra che accompagna i
colonizzatori, con le violenze e i soprusi
insiti nella loro cultura razzista, omofoba
e patriarcale, cui talvolta si lasciano andare anche gli etnografi. Ma anche il buio
esistenziale che insegue l'autore, la sua
depressione, l'incapacità di godere fino
infondo, anche nel sesso, e l'impossibilità di «essere dentro ai fatti come un
bambino». Resterà insoddisfatto il suo
bruciante desiderio panico e non stupisce che l'unica donna che lo affascini sia
posseduta dagli spiriti