Proprio mentre Giuseppe Conte annuncia il prolungamento dello
stato d'emergenza è uscito il libro di
Giorgio Agamben, A che punto siamo? (Quodlibet) dove il filosofo
raccoglie i suoi interventi, così controversi, scritti durante e contro il
lockdown, e dove aveva previsto
che lo stato d'eccezione sarebbe stato prolungato. Agamben è uno dei
filosofi italiani più tradotti e stimati
all'estero. Infatti è stato intervistato
da diversi giornali stranieri e (sebbene sia, da sempre, culturalmente
"di sinistra") è stato ignorato dai nostri media che non sopportano pensieri diffonni.
Quello che vorrebbe farci vedere
è «la trasformazione di cui siamo testimoni» nella vita politica e sociale,
che «opera attraverso l'istaurazione
di un puro e semplice terrore sanitario e di una sorta di religione della
salute». Il pensatore denuncia la trasformazione dello stato d'eccezione
in una prassi che diventerà sempre
più normale, finendo per liquidare
la democrazia borghese parlamentare così come l'abbiamo finora conosciuta, trasformandola in un'altra cosa che non è ancora definita.
Certo, si può obiettare che la situazione per il Covid, a febbraio-marzo, era allarmante. Secondo i
suoi critici, non si poteva fare diversamente: il filosofo dimentica il grave pericolo da cui eravamo minacdati. Ma la risposta di Agamben a
questa obiezione, fa riflettere. Anzitutto - spiega - si è limitato senza
motivo il primo dei diritti umani: «il
diritto alla verità». Egli parla di «una
gigantesca operazione di falsificazione della verità». Si può obiettare
che forse è stata più superficialità e
dilettantismo che falsificazione. O
almeno si spera. Però quando
Agamben scrive che «i dati sull'epidemia sono forniti in modo generico e senza alcun criterio di scientificità», che «dare una cifra di decessi
senza metterla in relazione con la
mortalità annua nello stesso periodo e senza specificare la causa effettiva della morte non ha alcun significato», bisogna riconoscere che solleva un problema vero.
I CONTI NON TORNANO
Dice: «non si tiene alcun conto
del fatto, pur dichiarato, che viene
contato come deceduto per Covid-19 anche il paziente positivo
che è morto per infarto e per un'altra causa qualsiasi» (e non si ricordano mai le cifre annuali dei morti
per le diverse cause e patologie, effettivamente superiori a quelle per
Covid). Bisognerebbe aggiungere la
mancanza di verità sulle origini del
virus e sui tempi della sua diffusione (di cui ha colpa il regime cinese),
poi le indicazioni delle autorità date
e poi capovolte (per esempio sulle
mascherine), infine il grande punto
interrogativo sulle terapie e i farmaci. E mancata perfino la verità su ciò
che ha portato ai tagli alla sanità degli armi scorsi.
Per decidere una così drastica sospensione dei diritti fondamentali -
dice in sostanza Agamben - le autorità potevano e dovevano prima
spiegare esattamente, con estrema
precisione e accuratezza, tutti i termini del problema al popolo e ai
suoi rappresentanti e solo valutando l'autentica realtà dei fatti si potevano poi assumere certe misure di
protezione, con tempi e modalità
democraticamente deliberate e controllate (magari anche infornando
giorno per giorno sull'efficacia delle
diverse terapie in corso).
In effetti così non è stato. E non si
dica che non se n'è avuto il tempo,
perché lo stato d'emergenza è stato
decretato dal governo a fine gennaio e per più di un mese non è stato
fatto praticamente nulla, passando
da una sostanziale sottovalutazione
a un improvviso allarme apocalittico. Nella genericità dell'allarme si è
poi prodotto un panico collettivo
che ha reso accettabile tutto («la diffusione del terrore sanitario ha avuto bisogno di un apparato mediatico concorde e senza faglie»).
Così - spiega Agamben - si è potuto verificare che per la paura della
morte «gli uomini sembrano disposti ad accettare limitazioni della libertà che non si erano mai sognati
di poter tollerare, né durante le due
guerre mondiali né sotto le dittature totalitarie».
Questo stato di eccezione, secondo il filosofo, «sarà ricordato come
la più lunga sospensione della legalità nella storia del Paese, attuata senza che né i cittadini né, soprattutto,
le istituzioni deputate abbiano avuto nulla da obiettare».
Agamben dà un giudizio durissimo su ciò che è accaduto (agli storici futuri «questo periodo apparirà
come uno dei momenti più vergognosi della storia italiana») ed è ancora più duro su «coloro che lo hanno guidato e governato come degli
irresponsabili privi di ogni scrupolo
etico». Forse eccede, si può pensare
che vi sia stata semmai improvvisazione e carenza di sensibilità democratica e di senso delle istituzioni,
ma ai posteri l'ardua sentenza:
l'aspetto più importante della riflessione di Agamben è un altro.
Egli sostiene che «dopo l'esempio cinese, proprio l'Italia è stata
per l'Occidente il laboratorio in cui
la nuova tecnica di governo è stata
sperimentata nella sua forma più
estrema». Il fatto stesso che un totalitarismo sia stato il modello è emblematico, secondo Agamben, che poi
scrive: «Se i poteri che governano il
mondo hanno deciso di cogliere il
pretesto di una pandemia - a questo punto non importa se vera o simulata - per trasformare da cima a
fondo i paradigmi del loro governo
degli uomini e delle cose, ciò significa che quei modelli erano ai loro
occhi in progressivo, inesorabile declino e non erano ormai più adeguati alle nuove esigenze».
Possiamo dissentire, ma è chiaro
da anni che il liberismo non è più
sinonimo di liberaldemocrazia, che
il mercatismo e il grande potere finanziario che domina sugli stati
hanno devastato l'economia reale,
il tessuto produttivo industriale
dell'occidente e la borghesia, quel
ceto medio che era sempre stato il
pilastro delle democrazie.
MERCATISMO
Ed è chiaro da anni che il mercatismo (propagandato da gran parte
dei media in tutte le sue forme: non
ultima quella dell'Europa maastrichtiana) ha sempre più in odio le
democrazie, i parlamenti, le sovranità popolari e gli stati nazionali che
rappresentano tanti ostacoli a un
suo incontrastato dominio.
In Italia è lampante da anni che il
Parlamento e gli elettori contano
sempre meno e sempre più si cerca
di commissariarci, di comandarci
per interposta persona e che in nome del vincolo esterno finiranno
per governarci totalmente da Berlino e Bruxelles (o dalle Borse). C'è
dunque di che riflettere.
Infine si segnalano due pensieri
di Agamben. II primo: «la biosicurezza si è dimostrata capace di presentare l'assoluta cessazione di
ogni attività politica e di ogni rapporto sociale come la massima forma di partecipazione civica. Si è così potuto assistere al paradosso di
organizzazioni di sinistra, tradizionalmente abituate a rivendicare diritti e denunciare violazioni della costituzione, accettare senza riserve limitazioni delle libertà decise con decreti ministeriali privi di ogni legalità e che nemmeno il fascismo aveva
mai sognato di poter imporre».
Viene da chiedersi: che avrebbero fatto se a decidere quelle misure
fosse stato il centrodestra?
Il secondo pensiero: «La pandemia ha mostrato senza possibili
dubbi che il cittadino si riduce alla
sua nuda esistenza biologica. In
questo modo egli si avvicina alla figura del rifugiato fin quasi a confondersi con essa».
E' stato chiesto al filosofo di sinistra se è imbarazzato dal fatto che
sono stati leader di destra come
Trump e Bolsonaro i più critici del
lockdown alla maniera cinese.
Risposta: «Anche in questo caso
si può misurare il grado di confusione in cui la situazione di emergenza
ha gettato le menti di coloro che dovrebbero restare lucidi, come anche a che punto l'opposizione fra
destra e sinistra si sia completamente svuotata di ogni contenuto politico reale. Una verità resta tale sia che
sia detta a sinistra che se viene
enunciata a destra»