Il turismo è una pratica talmente diffusa da apparire come
un fatto naturale, scontato e poco
interessante - nonostante costituisca oggi un settore portante
dell'economia globale. È vero il contrario: indagare il fenomeno del turismo consente di cogliere, riflessa
e rovesciata, l'immagine del mondo contemporaneo, e in essa la condizione dell'uomo-moderno-in-generale. Riprendendo questa intuizione, in Per una critica dell'economia
turistica. Venezia tra museificazione
e mercificazione (Quodlibet, pp.
250, euro 20), Giacomo Salerno
costruisce un denso percorso di
critica del turismo, maturato
nell'arco di tre anni, articolato
in tre sezioni-scenari: globale,
urbano, lagunare. A partire da diverse prospettive disciplinari,
Salerno mescola con cura tracce
filosofiche, sociologiche, economiche, costruendo una sintesi originale delle teorizzazioni finora
prodotte; sulla scorta delle riflessioni sulla trasformazione della
struttura dell'esperienza, il turismo è una «industria della nostalgia»: il tentativo mercificato di recuperare ciò che è stato perduto
con il passaggio alla modernità,
ovvero l'esperienza tradizionale,
intesa come costruzione di senso,
secondo la diagnosi di Benjamin.
L'oggetto del desiderio turistico è dunque la possibilità stessa
di esperire, di avere un contatto,
un'esperienza autentica, di sé e
del mondo. Qualcosa che un
tempo spettava alla sfera del sacro, e che oggi è prerogativa del
viaggio, della vacanza, della sfera del mercato. Su questa ricerca
l'industria turistica cresce e fa
profitti, condannando il turista
a una condizione di alienazione,
che va letta nel contesto della
trasformazione dell'economia e
dei processi produttivi del capitalismo industriale. Così come l'esperienza viene «mercificata e venduta come pacchetto turistico» la città diventa «la costruzione postmoderna di un paradiso perduto», palcoscenico per il «rito secolarizzato del consumo», resto storico
museificato e patrimonializzato,
privato del suo valore d'uso.
Sw la modernità ha traghettato
l'uomo «dal mondo del destino
all'universo della scelta», con le rivoluzioni della mobilità prima e
delle tecnologie poi «il mondo è
diventato oin tal virtualmente disponibile nella sua totalità», al
prezzo però della perdita di uno
spazio identitario e comunitario
tipico della città preindustriale:
una dissociazione che produce
sradicamento. Così, ancora, «al
centro delle strategie commerciali degli operatori turistici è
spesso posta proprio la particolare esperienza urbana che è stata
dapprima negata per essere poi
ricodificata in forma di merce».
Nessun moralismo dunque se si
considera il turista come un ingranaggio di un processo di
espropriazione, di un'economia
delle esperienze, che sfrutta nostalgia e alienazione e che fa del
centro storico, il rovescio della
periferia, luogo e merce di consumo, il simulacro della vita urbana da «tutelare» e «valorizzare». Un discorso dietro cui si cela
«la materialità di un processo
reale» che fa delle città risorse di
un'economia estrattiva - una
«forma contemporanea di colonialismo interno». Nella città turistica per eccellenza, Venezia,
Salerno ripercorre le tappe di
una storia particolare che è anche quella di molte città contemporanee: strategie di gentrification e turistificazione che sono il
frutto di precise scelte politiche,
come quella che ha consentito, alla fine degli anni Novanta, un aumento della capacità ricettiva del
30% in tre anni. La pressione turistica, aumentata poi con Airbnb e con
il turismo crocieristico, non è insomma piovuta dal cielo. Né si può
ridurre a mero fatto numerico.
Si tratta di un vero e proprio saccheggio della città, «contesa tra i
due modelli affini del parco tematico e del museo, in ogni caso
ostaggio di chi dalle sue pietre e
dalla sua immagine è in grado di
estrarre un valore che non ha prodotto ma che ha espropriato ai
suoi abitanti». Una città nuova
non può che emergere dai movimenti che in nome del diritto alla città oppongono una resistenza alla privatizzazione e allo sfruttamento di Venezia, e di tutte le
città desertificate e ridotte a merce, di cui il tempo della pandemia ha svelato il grande vuoto,
ma anche
la possibilità di essere
riabitate.