Recensioni / Clima: l’urbanistica deve cambiare approccio

Il ciclone Covid-19 ci ha messo di fronte alla fragilità delle società in cui viviamo e ha reso evidente quanto oggi il mondo sia profondamente interconnesso, senza difese di fronte a un virus che ha fatto trovare tutti impreparati. Le pandemie hanno segnato alcuni passaggi importanti della storia dell’umanità, con fratture tra generazioni e poi anche cambiamenti che hanno segnato il progresso economico, culturale e sociale. Di altrettanta capacità di ripensare le forme dello sviluppo e del vivere quotidiano avremmo bisogno ora per uscire dalla crisi che il Covid-19 ha lasciato sul terreno, ma soprattutto per affrontare lo scenario sempre più evidente e proccupante legato ai cambiamenti climatici. La differenza è che a questa seconda grande sfida non ci arriveremo disinformati, la scienza studia da tempo i processi in corso nell’atmosfera legati all’aumento delle concentrazioni di gas serra e, con sempre maggiore dettaglio, è in grado di individuare quello che potrebbe avvenire nelle diverse aree del pianeta per l’aumento delle temperature dell’aria e degli oceani, con l’accelerazione di ondate di calore e siccità, alluvioni e conseguenti impatti su agricoltura e aree urbane, rischi epidemiologici legati a questi processi. Il tema è oramai sotto occhi di tutti, ma è come se ancora non si fosse introiettato il fatto che la lancetta dell’orologio nel frattempo sta scorrendo, che più rinviamo le decisioni e maggiori saranno gli impatti, che prima ci prepariamo e meno terribili saranno le conseguenze. Soprattutto è un processo che non si ferma con un vaccino o con un’invenzione tecnologica, ma che deve portare a un cambio di approccio nelle scelte di fondo che riguardano il modello energetico e produttivo, le città e il territorio. Il libro di Michele Manigrasso, La città adattiva. Il grado zero dell’urban design (Quodlibet, 2019) rappresenta un contributo importante per guardare negli occhi a queste sfide, senza scuse o paure che possano prendere il sopravvento, ma mettendoci di fronte alle scelte da assumere e anche alle opportunità che si potranno aprire di ripensare gli spazi urbani in cui viviamo e mettere anche mano a errori commessi di governo del territorio. Il climate change non è infatti una questione ambientale come altre che abbiamo conosciuto dalla rivoluzione industriale ad oggi, e solo in parte affrontato, è un processo globale molto più rilevante che presuppone un cambio di approccio teorico e applicativo - che il volume racconta con un ricco bagaglio di riferimenti - e inevitabilmente chiama in causa il ruolo di architetti e urbanisti, tecnici e amministratori locali.

Una prima questione emerge con forza dalle pagine del libro. L’urbanistica si trova a fare i conti con una variabile di incertezza rispetto al futuro senza precedenti, con possibili rischi e cambiamenti da affrontare attraverso chiavi nuove e in discontinuità con il passato. Per una disciplina che in particolare nel XX secolo ha proposto – in alcuni casi potremmo dire, imposto – idee progettuali e soluzioni infrastrutturali alle morfologie incontrate, per accompagnare le crescenti e sempre più articolate esigenze dell’espansione urbana, il cambiamento è radicale. Quell’approccio e quelle soluzioni ingegneristiche sono la ragione per cui le piogge oggi provocano danni devastanti in alcune aree urbane con costi rilevanti, morti e feriti, in particolare tra le persone più povere. In un contesto di questo tipo l’unica possibilità è di abbandonare teorie arroganti nei confronti del territorio e di guardare con curiosità i processi in corso e quelli che potrebbero avvenire, in modo da individuare le scelte di intervento più adatte per prepararsi a questi possibili scenari. Attenzione, non è un approccio esclusivamente precauzionale quello che vediamo nelle città che oggi già hanno messo il clima al centro delle proprie politiche. La chiave progettuale con cui affrontare questi processi è quella dell’adattamento di ogni quartiere o edificio, lungomare o parco indispensabile ad aumentare la resilienza ai fenomeni meteorologici estremi, rimediando agli errori di interventi realizzati nel passato.

A leggere il libro in questi giorni di discussione europea e italiana sul recovery plan per il rilancio del Paese post Covid ci si accorge di quanto i suoi contenuti siano di attualità – per la prima volta, tutti riconoscono che le politiche green e di lotta ai cambiamenti climatici debbano essere prioritarie - e di come possa risultare utile per individuare risposte innovative. Purtroppo nel dibattito pubblico e politico continuano a prevalere soluzioni di tipo tecnologico e impiantistico per ridurre le emissioni: quanti MW di impianti fotovoltaici e eolici installare, quanti interventi di efficienza energetica, auto elettriche e impianti per l’economia circolare. In parallelo, per difendersi dagli impatti meteorologici estremi, in rapida crescita, si propongono interventi di vera e propria difesa dei territori, con opere ingegneristiche “tradizionali”, per cui prevalgono intubamenti e muri di contenimento, cemento e barriere. Il libro di Manigrasso, invece, mette in evidenza come oggi esista un altro possibile percorso progettuale per affrontare questi temi, più utile e lungimirante, proprio a partire dalle città ossia dal cuore di questi problemi e sfide. Sono molti gli esempi interessanti riportati nei quattro capitoli di good practices: tra interventi nei tessuti e progetti di nuovi quartieri adattivi, progetti di piazze e infrastrutture, di riverfront e waterfront. Da Rotterdam a New York, da Lione a Copenhagen si è aperto un campo di ricerche progettuali che forse porterà a un nuovo linguaggio estetico, ma intanto di sicuro sta già proponendo soluzioni originali e flessibili di uso degli spazi pubblici. Si descrivono piazze organizzate per far defluire in modo sicuro l’acqua dentro aree permeabili e cisterne sotterranee, di parchi e linee di costa o lungofiumi dove l’acqua possa crescere e anche esondare in sicurezza nei giorni di forti piogge e ondate di piena. Acqua che sarà preziosissima nei giorni di siccità perché correttamente valorizzata dentro i quartieri, in connessione con alberi e spazi verdi per ridurre l’impatto delle ondate di calore. Attenzione, questi non sono i criteri con cui progettare la “nuova” città e aggiungere quartieri green a emissioni zero ai margini delle periferie, ma al contrario per ripensare le aree urbane in cui viviamo. Anche per adattarle alla necessità di far convivere più persone, densificando e al contempo liberando spazi asfaltati oggi occupati da auto ferme o in movimento. Bernardo Secchi, raccontava di come non vi fosse una spiegazione razionale alla qualità che si percepiva camminando nelle diverse ore della giornata per Piazza del Campo a Siena (non gli edifici, una scultura o un progetto dietro il disegno dello spazio). Ma piuttosto un insieme di fattori, frutto di una fortunata e saggia stratificazione di interventi nel tempo che si sono adattati a uno spazio così particolare e alle sue condizioni morfologiche e anche climatiche. Ma quell’approccio, obbligato nell’era precedente alla rivoluzione del riscaldamento a basso costo, va recuperato ora per affrontare la riqualificazione di periferie e condomini dove ridurre fortemente la domanda di energia per il risaldamento e il raffrescamento (producendola con il sole) anche attraverso un attento utilizzo di ombre e alberature, pavimentazioni e deflussi d’acqua che contribuiscano anche a garantire la sicurezza nelle giornate più complicate. Nei tanti e interessanti progetti raccontati nel libro si comprende come la città adattiva sia un campo di sperimentazione che lavora a tutte le scale per tenere assieme qualità progettuale e prestazioni necessarie a far fronte a condizioni climatiche estreme che interesseranno tutte le città del Mediterraneo. Per tornare all’attualità, la sfida più interessante sarà riuscire a dimostrare che il rilancio post Covid passa per investimenti innovativi nelle aree urbane, dove sperimentare soluzioni che riescano a dare risposta agli obiettivi sia di mitigazione che di adattamento climatico creando benefici diretti per le famiglie e nuova occupazione. Il libro di Manigrasso aiuta a far comprendere l’urgenza di affrontare questi temi per i rischi a cui si andrà incontro in caso di rinvio degli interventi o negazione dei problemi, ma soprattutto riporta al centro del dibattito le soluzioni che le discipline che si occupano di disegnare gli spazi in cui viviamo devono intraprendere.