"Ho iniziato un libro che mi impegnerà per anni, forse per il resto della mia vita. Non voglio parlarne: basti
sapere che è una specie di summa di tutte le mie esperienze, di tutte le mie memorie". Questo diceva Pier
Paolo Pasolini riguardo a Petrolio — la sua opera più
misteriosa, uscita postuma — in un'intervista del 1975,
l'anno stesso in cui avrebbe trovato la morte. All'amico
Alberto Moravia, in merito al suddetto libro, spiegherà: "E un romanzo, ma non è scritto come son scritti i
romanzi veri: la sua lingua è quella che si adopera per
la saggistica, per certi articoli giornalistici, per le recensioni, per le lettere private o anche per la poesia".
Venticinque anni dopo la pubblicazione di Petrolio,
il presente volume — edito da Quodlibet — si concentra
proprio su quest'ultimo frutto del lucido lavoro intellettuale di Pasolini, a onta delle polemiche che certo
allora non mancarono. Una raccolta di saggi nei quali
si analizza, da diverse prospettive, un'opera rimasta
unica nel panorama letterario italico.
Petrolio, di fatto, è un testo incompiuto: oltre cinquecento pagine scandite, più che altro, da una serie
di frammenti di variabile lunghezza. Nondimeno, tale
è la portata degli spunti e argomenti posti alla base di
quest'edificio, che è difficile non chiedersi che tipo di
meta-romanzo sarebbe venuto fuori, se Pasolini fosse
vissuto. Forse il suo libro più importante?
Trasfigurato in modo allegorico — seguendo la lezione della Commedia dantesca, ma anche del mito
classico —, in Petrolio ritroviamo l'intero universo profetico e speculativo dell'ultimo Pasolini. La sessualità,
in quanto forza scandalosa e ambivalente. I feticci, le
piccolezze del moderno uomo borghese. Soprattutto, il
dirompente rimescolamento di valori portato in Italia
dal neo-capitalismo, e dal formarsi di quella società
dei consumi in grado d'omologare ogni cosa ai propri
modelli. (Un'impresa, questa, in cui il Fascismo aveva
fallito).