Recensioni / Buenos Aires. Il grande testo di una metropoli

«Una modernità periferica. Buenos Aires 1920-1930» di Beatriz Sarlo. Ritratto di una città complessa e ibrida vista e vissuta attraverso lo sguardo degli intellettuali sulle sue trasformazioni urbanistiche e culturali

Figura centrale della critica e dell'elaborazione culturale argentina e latinoamericana, Beatriz Sarlo è nota ai più attenti fra i lettori italiani soltanto per un saggio accluso alla traduzione dei Poemas de amor di Alfonsina Storni (pubblicato da Casagrande nel 2002) e per Segni della passione: Il romanzo sentimentale, 1700-2000, «voce» inclusa nel secondo volume (Le forme) de Il romanzo, opera curata da Franco Moretti per Einaudi.
La traduzione di Una modernità periferica. Buenos Aires 1920-1930 (Quodlibet, pp. 305, 19 euro ), saggio del 1988 che esce nella nostra lingua dopo quasi vent'anni, riempie dunque un vuoto e, come scrive Edoardo Balletta che ha ottimamente curato il volume, corregge finalmente l'invisibilità cui sembrano soggetti - almeno qui da noi - non soltanto il percorso di Beatriz Sarlo ma anche quelli di altri intellettuali latinoamericani che si sono dedicati con notevoli esiti agli studi culturali.
Articolato in otto saggi scritti con assoluta libertà metodologica e in uno stile brillante, incisivo, a tratti tentato dalle lusinghe della narrazione senza per questo venire meno a un impeccabile rigore tecnico, il libro è, come dichiara la stessa Sarlo nell'introduzione, ispirato e influenzato da Vienna Fin-de-siècle di Carl E. Schorske (Bompiani 1995) e da All That Is Solid Melts into Air di Marshall Berman (L'esperienza della modernità, Il Mulino 1985). Affascinata soprattutto dal secondo e tuttavia capace di discostarsene per intraprendere vie del tutto originali, l'autrice intende ricostruire «un mondo di esperienze attraverso i testi della cultura», ma, piuttosto che accostarsi ai testi canonici per studiarli in quanto unica «forma» possibile li colloca all'interno di un discorso multisciplinare e libero da qualsiasi vincolo, all'interno del quale convivono materiali differenti, poiché, se la letteratura parla di tutto, tutto può attraversarla e incrociarla.
Ecco perché il suo Una modernità periferica. Buenos Aires 1920-1930 si può leggere tanto come un audace esempio di critica letteraria, quanto come un approccio anticonvenzionale alla comprensione del tessuto culturale e dell'immaginario sociale di una metropoli allo stesso tempo moderna e periferica, vista e vissuta attraverso lo sguardo di intellettuali che reagiscono in modo diverso e contraddittorio alla sua profonda trasformazione.
Pur affrontando temi sempre diversi (la nostalgia dell'età d'oro contrapposta alla «brutalità» della tecnologia, l'erotismo femminile tra repressione e affermazione di sé, il confronto con l'immigrazione, l'importanza delle riviste, i saggi storici degli anni Trenta), i capitoli concorrono così a suggerire nuovi modi di rileggere la realtà bonaerense di allora, ponendosi non come tappe di un unico discorso ma come otto diverse possibilità di accedere a un medesimo tema per costruire un mutevole ritratto della città, in cui giocano un ruolo fondamentale i cambiamenti architettonici, l'avvento dell'elettricità, l'ampliarsi degli spazi, l'esperienza della velocità, l'immigrazione e la crescita della popolazione, le mescolanze e le contaminazioni linguistiche, la nascita di nuove case editrici e di nuovi giornali, il cinema e la pubblicità, il mutare della condizione femminile, i dibattiti e le polemiche non soltanto sulla città, ma sul puro e semplice «essere argentini».
Beatriz Sarlo si serve tanto dell'analisi di testi «alti» quanto di pratiche culturali eterogenee e di scritture marginali e composite: non soltanto la poesia e il romanzo, dunque, ma anche riviste, manifesti, biografie, confessioni, feuilletons, lettere... Un complesso insieme di frammenti che vengono collegati e ricomposti per decifrare una città altrettanto complessa, della quale il primo capitolo ci offre uno spaccato storico-demografico a partire dai quadri di Xul Solar, pittore lungamente vissuto in Europa che nel 1924, al suo ritorno, si trovò davanti a un paesaggio urbano nuovo e intensamente ibrido, sia dal punto di vista architettonico che da quello umano. E quella che Solar cercò di esprimere nei suoi dipinti (simili, dice Sarlo, a «dei rompicapo, dei puzzles di Buenos Aires») fu il grandioso scenario di una vera e propria cultura dell'ibridazione, confluenza di «modernità auropea e differenza rioplatense, accelerazione e angoscia, tradizionalismo e spirito innovatore, criollismo e avanguardia».
Come Solar, Sarlo racconta la storia culturale della città accostando pezzi diversi ma ugualmente significativi della grandiosa mezcla bonaerense e studiando il modo in cui alcuni nodi dell'argentinità (città e campagna; criollos e immigrati; nazionalismo e cosmopolitismo; cultura alta e bassa) vengono reinterpretati dall'avanguardia culturale e letteraria nel corso delle due straordinarie decadi prese in esame, e in particolare negli anni Trenta, in cui il gusto per il nuovo è particolarmente intenso e si esprime attraverso riviste come Contra, diretta da Raúl González Tuñón (al quale l'autrice dedica nel libro un capitolo intero, in virtù del suo tentativo di coniugare l'impegno ideologico e politico con una audace progettualità estetica) e, in maniera quasi simmetrica e opposta, la celebre Sur, creata da quel personaggio eccessivo e contraddittorio che fu Victoria Ocampo.
Ma l'impulso modernizzatore dell'avanguardia dovette anche misurarsi con il fatto che Buenos Aires, a partire dai primi anni Venti, era divenuta un luogo dove la marginalità si faceva immediatamente visibile, tanto che il suo spazio sociale finì anch'esso per trasformarsi in una novità estetica e far nascere nuove forme di discorso, introducendo nei romanzi di autori come Nicolás Olivares (La musa de la malapata, 1926), i fratelli González Tuñón, Leónidas Barleta (Royal circo, 1933), Elías Castelnuovo (Vidas proletarias, 1934), inequivocabili scenari urbani abitati da prostitute e drogati, disoccupati e operai, vagabondi e malavitosi accompagnati dal suono costante del tango.
E del «margine» fa parte anche la scrittura della donne, analizzata attraverso l'opera di tre autrici molto differenti per condizione sociale e formazione culturale: Norah Lange, Alfonsina Storni e Victoria Ocampo. A parlare di loro sono innanzitutto gli sguardi maschili che ne soppesano e condizionano l'apparizione: Norah Lange, la deliziosa ragazza che scrive in un'elegante lingua «per signore» come il francese, sotto la tutela domestica e artistica del marito Girondo; Alfonsina Storni, ragazza madre di modesta condizione sociale giunta dalla provincia, vista dall'intellettualità maschile come una «onesta compagna» oppure come una «cordiale maestrina»; Victoria Ocampo, ricca alto-borghese salutata da Ortega y Gasset come Signora delle lettere e regina dei salotti.
Al di là dell'immagine che ce ne danno i loro mentori maschi, Beatriz Sarlo ce le presenta con un altro sguardo: Norah, ovvero della rinuncia e della repressione; Alfonsina, ovvero la dimensione soggettiva come fondamento della scrittura, la trasgressione erotica e l'indipendenza affermate con forza in una vera e propria rivoluzione dei contenuti, che però sembra corrispondere all'impossibilità di un rinnovamento estetico; Victoria, troppo privilegiata perché qualsiasi cosa faccia non rischi di essere un semplice «passatempo», e che invece trova nella letteratura una via alla libertà personale e all'eros.
Di capitolo in capitolo, Beatriz Sarlo riesce infine a raggiungere il suo scopo: perché il punto non è soltanto cosa si scrisse in quegli anni, ma come lo si scrisse e dove, utilizzando quali materiali, partendo da quali esperienze e quali orientamenti sociali nei confronti della modernità. Una modernità diversa da quella dei paesi «centrali», imperfetta, distorta, incalzata dall'angoscia del ritardo, e nel caso argentino, anche dai dubbi circa l'identità nazionale.
E proprio questa «modernità periferica» rappresenta, come sottolinea Edoardo Balletta nella nota conclusiva al libro «un'idea che nella sua porosità e permeabilità può rivelarsi estremamentee interessante per comprendere la nostra contemporaneità post-moderna e globalizzata».
La mancanza di un «centro», tipica della post-modernità, fa dunque sì che dalla cultura «periferica» parta una contaminazione diffusa che «la sposta ovunque e così facendo trasporta non soltanto corpi, ma anche nuclei discorsivi e teorici. La periferia writes back», e Beatriz Sarlo, nella sua analisi di una metropoli meticcia e multiculturale come la Buenos Aires degli anni Venti e Trenta, sembra averlo intuito.

Meticcia, complessa e mutevole, la grande «mezcla» bonaerense degli anni Venti e Trenta ridisegna il paesaggio urbano e quello umano
Beatriz Sarlo, la scrittura dal centro del margine
Fr. La.
Da oltre trent'anni Beatriz Sarlo (nata a Buenos Aires nel 1942) riveste il ruolo non sempre facile di intellettuale critico, sia in politica che per quanto riguarda i fenomeni culturali, e i brillantissimi saggi in cui investiga non soltanto sulla letteratura, ma sul romanzo sentimentale, sul cinema, sulla cultura di massa e i suoi fenomeni, sugli intellettuali e la politica, si affiancano all'attività di docente di letteratura argentina del XX secolo presso l'Università di Buenos Aires. Ha insegnato a Cambridge - dove ha occupato la carica Simón Bolívar professor of Latin American Studies - e alla Columbia Universiy. Ospite di varie università statunitensi è stata «fellow» del Woodrow Wilson Center e della Fondazione Guggenheim. Nel 2000 ha vinto il premio Ezequiel Martínez estrada-Casa de las Américas del ministero della cultura cubana per il libro La máquina cultural. Ha scritto su autori come Sarmiento, Echeverría, Arlt, Saer, Cortázar e soprattutto Borges. Nel 1978, in piena dittatura militare, ha fondato «Punto de vista», una rivista che attualmente dirige e che ancora oggi è al centro del dibattito politico e artistico e attorno alla quale si sono raccolti intellettuali come Carlos Altamirano, Hilda Sábato e Ricardo Piglia. Suoi articoli compaiono regolarmente su Pagina/12, uno dei migliori giornali argentini.
Tra le sue opere più importanti, ricordiamo El imperio de los sentimientos (1985), sulla letteratura sentimentale a puntate, La imaginación técnica, sueños modernos de la cultura argentina (1992), Escenas de la vida posmoderna. Intelectuales, arte y videocultura (1994), Borges, un escritor en las orillas (1995), La máquina cultural. Maestras, traductores y vanguardistas (1998), e lo splendido La pasión y la excepción (2003), sulla costruzione del mito di Eva Perón.
Di Beatriz Sarlo, sono disponibili in italiano soltanto un saggio accluso alla traduzione dei Poemas de amor di Alfonsina Storni (nelle Edizioni Casagrande, 2002), Segni della passione. Il romanzo sentimentale, 1700-2000 contributo al secondo volume della grande opera einaudiana dedicata al Romanzo e diretta da Franco Moretti e ora Una modernità periferica. Buenos Aires 1920-1930 curato da Edoardo Balletta (con prefazione di Raul Antelo) per Quodlibet. «Un libro ibrido su di una cultura (quella urbana di Buenos Aires) anch'essa ibrida. Non so a che genere di discorso appartenga questo libro: se risponde al canone della storia culturale, della intellectual history, della storia degli intellettuali o delle idee», come scrive Beatriz Sarlo nell'introduzione.