Le idiozie che costano
miliardi». Così s'intitolava la preveggente
copertina che nel
lontano 1991 il settimanale economico «Il Mondo» dedicò al Mose, il sistema delle dighe mobili preposto, in
teoria, alla difesa di Venezia dal fenomeno dell'acqua alta. Però soltanto con la «retata storica» del 4 giugno
2014, quando finirono agli arresti
ben 34 alti papaveri cittadini, diventerà di dominio pubblico quanto la
maggior parte dei veneziani sospettava da tempo. Il Mose era un progetto elefantiaco e di dubbia efficacia,
concepito nei remoti anni Settanta e
poi divenuto l'opera paradigmatica
di «un sistema trasversale che ha
corrotto il Paese a tutti i livelli, durante la prima e la seconda Repubblica» (Francesco Giavazzi).
L'agile lavoro dí Giovanni Benzoni
e Salvatore Scaglione ha tre meriti
principali. Innanzitutto, sbrogliando
una matassa intricata, offre una ricostruzione accurata della storia del
progetto dal 1966 (l'anno dell'«acqua
granda» di quasi due metri) sino a oggi. Come all'epoca aveva denunciato
invano il repubblicano Bruno Vicentini, il peccato originale risiedeva nella
concessione unica affidata senza gara
nel 1985 al Consorzio Venezia Nuova.
Ne era sortito un carrozzone clientelare e affaristico, il cui unico fine diventerà quello di sperperare il denaro
pubblico. Al punto che a 17 anni dalla
posa della prima pietra ancora oggi
in laguna.
Parte del sistema
di dighe mobili
del Mose
a Venezia
non sappiamo quando il Mose sarà
inaugurato, se funzionerà per davvero e se i costi di gestione e manutenzione saranno sostenibili.
In secondo luogo, i due autori allargano lo sguardo all'intera città di
Venezia. Nel 2013-14 la magistratura
giunse alla «cricca» del Mose indagando su un giro di fatture false. Nessun cittadino era mai entrato in Procura per denunciare la «cupola». Come mai? Perché, nel suo dominio
trentennale, il Consorzio Venezia
Nuova (commissariato dal 2014) non
aveva assunto solo le fattezze della
«piovra», ma anche quelle delbancomat gratuito, con fior di beneficiari:
partiti politici, banche, alta burocrazia
(grazie ai contratti di consulenza e ai
collaudi), enti religiosi, associazioni
culturali, biblioteche, teatri, musei,
editori. Particolarmente interessante,
in appendice, l'intervento dello storico
Maurizio Reberschak, che analizza in
chiave comparata «due sistemi di corruzione», ossia il Vajont e il Mose.
Infine, questo libro include una
rassegna non molto edificante su come sino al 2014 (quando scoppiò lo
scandalo) la grande stampa italiana
aveva sempre trattato il Mose, celebrandolo acriticamente. Secondo
Benzoni e Scaglione, l'interrogativo
attuale non è più se «riuscirà il Mose
a salvare Venezia», bensì se «potrà
Venezia salvarsi dal Mose».
Le spese per il Mose hanno infatti
assorbito buona parte dei fondi destinati alla manutenzione ordinaria di
Venezia e della sua laguna, con conseguente aggravio del degrado generale. Abbagliati dalla sua estenuata bellezza, i visitatori dell'ex Serenissima
non s'accorgono che sta letteralmente
cadendo a pezzi, sempre più spopolata e oltraggiata da un turismo senza
regole. Nel 1924 lo scrittore veneziano
Pompeo Molmenti, in un libro intitolato I nemici di Venezia, sosteneva che
seda un lato i suoi abitanti non potevano ridursiavivere «tra le fredde pareti di un museo», dall'altro lato la città non doveva «nemmeno perdere o
sciupare ciò che il mondo le invidia».
Intorno a questo antico, eppure attualissimo, dilemma si snoda il brillante libro di Giacomo-Maria Salerno,
giovane studioso di filosofia. Una
densa riflessione sui centri storici
compressi fra museificazione e mercificazione turistica, di cui Venezia
rappresenta l'esempio più drammatico. Riusciremo a elaborare una idea di
città viva, in grado di conciliare la tutela delle antiche mura con le esigenze di una moderna società urbana?