Recensioni / Malerba, un classico del '900

L'esordio, del 1963, con un libro di racconti, La scoperta dell'alfabeto, così come le storie che riempiono le opere postume (2018) Sull'orlo del cratere e Strategie del comico sono testimonianza - insieme alle raccolte Bompiani del '74 e del '79 (Le rose imperiali e Dopo il pescecane); Mondadori, dell'88 e del 2004 (Testa d'argento e Ti saluto filosofia); il Mulino, 1997 (Avventure); Manni, 2008 (Il sogno di Epicuro) - del tempo dedicato da Luigi Malerba allo studio ed alla sperimentazione di una forma narrativa tale da permettergli la più accurata analisi dell'uomo e della società: «In quarant'anni di narrativa e di racconti» - scrive Ruozzi, curatore dell'Oscar Mondadori che ha appena riunito (febbraio 2020) Tutti i racconti dello scrittore parmense (1927-2008) «Malerba conduce con caparbietà la propria indagine sulla natura sociale degli umani» che continua a scrutare per ogni dove, nel tentativo di «scoprire "l'anello che non tiene" e che però, per assurdo, continua a riprodursi e moltiplicarsi».
I racconti di Malerba sono brevi, tranne rare eccezioni, ma - segnala il curatore - tutte le raccolte sono venute, per lo più, formandosi per accumulo, in parallelo con i progetti romanzeschi. Una produzione "laterale", dunque, ma non secondaria. La narrativa breve lavora su forme elementari delle quali riesce a nascondere le tracce. Le ragioni contingenti della brevità (non frammentarietà!), denominatore comune del corpus malerbiano, ci vengono qui esplicitate in duplice aspetto: la originaria stesura di molti racconti per periodici e quotidiani che imponevano la disciplina delle "cartelle", e l'inserimento dell'Autore nella gloriosa tradizione italica della Novellistica di origine trecentesca. Nelle storie malerbiane, quasi tutto è presente già nelle pieghe (misteriose) dell'incipit, in modo da agevolare il lettore in una indagine che lo porterà senza patema alla chiusura. Alla preminenza della deduzione si associa, poi, il racconto in prima persona da parte di chi osserva il mondo che lo circonda e le strane leggi che lo governano: viene da pensare «a quegli apologhi barocchi in cui, inforcato sul naso un paio di occhiali magici, un personaggio scopre infine il mondo per come è davvero: con i suoi vizi e con le sue follie» (G. Pedullà).
A dire il vero, la canonizzazione editoriale dello scrittore, romanziere di successo e pluripremiato - Selezione Campiello 1966, Sila 1969, Prix Médicis 1972, Brancati 1979, Mondello 1986, Grinzane Cavour 1989, Flaiano 1990, Viareggio, Feronia e Campiello 1992, Palmi 1995, Premio Chiari alla carriera 2005, ed altri - è stata sancita quattro anni fa con la pubblicazione del Meridiano curato da Giovanni Ronchini e arricchito da un saggio introduttivo di Walter Pedullà. Con un limite: vi è, certo, riproposta una parte quantitativamente notevole dei testi dello scrittore, ma una parte altrettanto cospicua resta fuori. Necessariamente. Tutto Malerba in un solo Meridiano non ci può stare, vuoi per la copiosa produzione vuoi per le forme plurime della sua scrittura: «C'è più di un Malerba in Malerba», scrive Walter Pedullà. In primo luogo, c'è il cineasta - sceneggiatore di Lattuada per Il Cappotto (1952), La lupa e Amore in città (1953), La spiaggia (1954) e regista di Donne e soldati (1953) -; segue il Malerba autore per l'infanzia, con opere non destinate solo ai giovani lettori (da Storie dell'anno Mille al Pataffio, al Pinocchio con gli stivali, contraltare al tragico libro parallelo manganelliano); e, ancora, il facitore del Diario di un sognatore (1981) negli anni in cui la letteratura nostrana pare voglia scrollarsi di dosso «il territorio onirico pressoché costantemente perlustrato dalle avanguardie, surrealismo in primo luogo» (M. Manganelli).
Ma l'assenza più dolorosa è qui marcata dal romanzo postmoderno e politico Il pianeta azzurro (1985): mafia, potere corrotto, P2, attentati.

2
Al lodevole operato dell'editore milanese in questo stesso quinquennio ha fatto eco la fervida operosità, rivolta a riedizioni o edizione di rari ed inediti, della collana «Compagnia Extra» di Quodlibet, animata da Ermanno Cavazzoni e Jean Talon: Le galline pensierose (2014), Consigli inutili (2014), Il pataffio (2015), Storielle e Storiette tascabili (2016), Strategie del comico (2018), Mozziconi (2019). Sarà bene soffermarci sui pennuti. Le galline pensierose, sospeso tra gioco per ragazzi e copione per spettacolo di varietà, è un divertissement pubblicato da Einaudi, con il viatico di Calvino, nel 1980: 131 storie brevi, poi diventate 146 nella successiva edizione mondadoriana: lo stesso numero, più 9 racconti inediti, nella più recente edizione di Quodlibet. Storielle zen con riflessioni su volatili ed umani: tanto più sembrano stupide le galline quanto più ci somigliano. Giochi di parole, stravaganze, Campanile e Palazzeschi, capricci e slittamenti logici riempiono un fuoco continuo di artificio e imprevedibilità: le galline di Malerba pensano e ciò, ammonisce Belpoliti, le rende bizzarre e stupide; si tratta della stessa pensosità «che ci abita così di frequente - per fortuna non sempre -, e ci fa essere una specie ingegnosa, ma anche un poco folle». Le galline sono nostre controfigure. Ed è vero che si dice "stupido come una gallina". Ma Malerba ci dimostra che, come noi, sono anche piene d'immaginazione e «pensano cose impensabili, incoerenti e perfettamente logiche». Come l'uomo, ad esempio, anche la gallina mette talora in campo la virtù del dubbio: «due galline andarono al giardino zoologico e osservarono con curiosità tutti quegli strani animali dentro le gabbie.
Alla fine si guardarono pensierose negli occhi e si domandarono perché mai non ci fosse anche una gabbia con dentro le galline. "Vuoi vedere", si dissero le due amiche, "che le galline non sono animali?"». Non sospettabile, il loro rapporto ne con la storia: «Le oche si vantavano con le galline perché le loro antenate avevano salvato Roma dando l'allarme dal Campidoglio quando i galli avevano tentato di entrare dalle mura. Una gallina disse che se al posto delle oche ci fossero state le galline forse li avrebbero fatti entrare e così Roma, conquistata dai galli, sarebbe diventata il più grande pollaio del mondo». Ma la direzione può essere anche antistorica: in Asia Minore, una gallina babilonese zompetta sui mattoni di creta prima della cottura e tremila anni dopo gli archeologi «finalmente riuscirono a leggere quei segni e li tradussero nelle lingue moderne». In quest'opera, le galline assurgono a maitres à penser in ogni ramo della conoscenza, riflettendo molto, osservando il creato, l'uomo e gli altri animali, facendo deduzioni scientifiche, eccellendo in matematica. Il pollaio è un vero "patrimonio culturale" e materia propria dei pennuti è la speculazione filosofica, declinante verso l'oriente, con una spolverata di atarassia democritea. D'altra parte, «per diventare filosofa - diceva una vecchia gallina che credeva di essere molto saggia - non importa pensare a qualcosa, basta pensare anche a niente». Insomma, un vademecum filosofico in equilibrio tra umorismo schietto e nonsense. Per Malerba dare voce alle galline significa analizzare «gli inesauribili aspetti gallinacei» degli umani, nel loro lato debole, misto di frivolezza, vanità, paure. Non mancano tuttavia casi di (pur strampalata) logica di base: «una gallina era diventata matta e l'avevano rinchiusa in manicomio. Il gallo le telefonava ogni tanto per avere sue notizie, ma lei rispondeva: "Guarda che qui non abbiamo il telefono". Il gallo riferiva alle galline che per il momento la loro compagna non era guarita e doveva rimanere in manicomio». Oppure: «Una gallina medievale aveva deciso di vendere l'anima al diavolo. Trovato Belzebù in un orto che rubava il sedano, gli offrì l'anima in cambio di "una manciata di orzo". Ma il diavolo "le fece una risata sul becco". E così la gallina medievale scoprì di non avere l'anima».

3
Ma le cose cambiano. Secondo l'insegnamento di Esopo - volpe furba, agnello mite, e così via- il personaggio gallina non potrebbe che essere stupido. Questo "punto fermo" ha resistito per un paio di millenni, prima di sbriciolarsi nel 2002, quando non poche ricerche, nell'ambito dell'Associazione americana per il progresso della scienza, hanno mostrato come i pennuti abbiano abilità cognitive che rivaleggiano con quelle umane, possedendo - nonostante la mancanza di gran parte della struttura corticale nella loro architettura cerebrale - straordinarie abilità in campi come la comunicazione e la memoria. Dire a qualcuno: «hai un cervello di gallina» non è più, quindi, un insulto perché - è stato provato - le galline sono persino più sveglie dei piccioni viaggiatori. Sotto sotto Malerba deve averlo sempre sospettato che gli avicoli non rispecchiano, bensì smascherano, la debolezza degli umani, anche quando costoro sono rappresentati da un genio come Baudelaire, il quale aveva osato dire che «la campagna è quel posto dove le galline vanno in giro crude. Una gallina disse allora che la città è quel posto dove i poeti vanno in giro cotti».