“Èimpossibile definire il design”. Inizia così Contro l’oggetto. Conversazioni sul design, libro dello storico dell’arte e curatore Emanuele Quinz, bolzanese classe ’73, professore all’Université Paris 8 nonché ricercatore all’École nationale supérieure des Arts Décoratifs, oltre che collaboratore di centri d’arte e istituzioni come il Centre Pompidou, il Centre Pompidou-Metz e l’Uqàm di Montréal. L’impossibilità di definizione di cui sopra, non è propriamente di Quinz, che però la fa sua come motore per trattare un tema esteso e sfaccettato come il design. Quelle di Quinz con i suoi interlocutori sono conversazioni aperte, alcune durate anni, in un flusso di pensieri sull’attuale stato di questa disciplina. Quinz non prende di petto la questione, prova anzi ad affrontarla mettendo insieme punti di vista differenti che in qualche modo ripercorrono e tratteggiano una grossa fetta della storia più o meno recente del design.
L’autore pone domande, più che dare risposte, proprio come fa Robert Stadler nel suo intendere il design, che secondo lui non “è destinato a rassicurarci, a confortarci”, ma a destabilizzarci. L’analisi di Quinz, avvalorata da una solida formazione storica, offre allora uno spaccato dei processi creativi e funzionali della materia, dai pionieri del controdesign al design concettuale olandese, passando per il critical design degli anni Novanta, fino all’odierna scena internazionale dei vari Martino Gamper e Matali Crasset, ma anche Giovanni Anceschi, Aldo Bakker, Superflex, Ugo La Pietra. Ne consegue una pluralità di posizioni per provare a immaginare un futuro, anche a fronte dei cambiamenti che sta subendo il nostro mondo, con riflessioni aperte su arte, industria, architettura e urbanistica.
Il titolo del libro è in qualche modo paradossale, soprattutto se si considera che di oggetto vive il design, ma questa nostra contemporaneità è così marcatamente sostanziata da una vita digitale che inevitabilmente invita a un pensiero più ampio e profondo sul concetto stesso di oggetto e sulla sua funzione, sulla sua utilità. Il lavoro di Quinz nasce dalle tracce di un libro del 2014, Strange Design - du design des objets aux design des comportements, realizzato con Jehanne Dautrey. L’obiettivo – e in questo caso Quinz di si rifà a Sottsass – è provare a comprendere “la strategia di emancipazione messa in opera dal design”, che “non è diretta ma indiretta, non è letterale ma simbolica” e agisce insieme “sul piano psicologico e culturale”. Sottsass avrebbe parlato, forse, di magia. Quinz poi riprende “la genealogia del design che traccia Maldonado, legata in modo esplicito al progetto illuminista, in cui la tecnica e il design si pongono come gli strumenti di un progetto di emancipazione che si innerva alle radici della società capitalista”.
Oggi più che mai stiamo attraversando un momento di trasformazione e transizione della società, per cui comprendere e anticipare i contesti della vita che verrà, il prossimo linguaggio del quotidiano, è essenziale per districarsi in visioni di un mondo saturo ma al tempo stesso bulimico, vorace, in continua evoluzione. Chiaramente, per il design, tutto è più complesso, per via della sua ibridazione culturale e produttiva, che lo rende difficile da definire e costantemente mutevole. Quinz allora risponde senza dare risposte – com’era prevedibile – e cita ancora Ettore Sottsass: “Quando uno va a cercare la funzione di qualsiasi oggetto, la funzione gli scappa tra le mani, perché la funzione è la vista stessa”, al di là di marketing o Design Thinking, al di là di aspetti commerciali, industriali, ingegneristici, tecnologici, perché i confini della disciplina sono labili, mai netti, e lo dimostra l’interazione che gli utenti finali hanno con il design stesso, oltre alla direzione che stanno prendendo alcuni designer per ridefinire il concetto stesso del termine e della disciplina.
Ad esempio, lo startup tecnologico Potemine ha recentemente presento Alis (A Light In Space), un dispositivo di illuminazione portatile, multifunzionale e interconnesso. Potemine ha base tra Torino, Ivrea e Milano, un triangolo strategico in cui tecnologia e design hanno fatto e ancora fanno la storia, da Olivetti in poi, come dimostra anche il progetto Datapoiesis, con un programma di progettazione di oggetti di pubblica utilità pensati come nuovi modelli di impresa, proprio presso le fabbriche ex Olivetti, da sempre laboratori di innovazione sociale. L’innovazione, non a caso, è infatti alla base anche del lavoro del designer italo russo Ilia Potemine, che dopo aver esposto in gallerie di design come Dilmos Milano, Bensimon Paris e Mint London, con Alis sta provando ad avviare una rivoluzione personale nel design dell'illuminazione, introducendo un modo completamente nuovo di vivere la luce, grazie alla tecnologia Iot e alla creazione di sistemi di illuminazione flessibili, facendo incontrare design e tecnologia in modo intuitivo, interattivo e portatile, perciò semplicemente contemporaneo: “Un buon design – spiega Potemine – è dove qualcosa che non esiste incontra qualcosa che esiste da sempre”. In quest’ottica, per tornare al volume di Quinz, è fondamentale il capitolo-conversazione con Yves Béhar sul design come “acceleratore che permette di adottare nuove idee”.
Questa breve ma necessaria divagazione introduce allora dimostrativamente un mix di concetti necessario per comprendere l’importanza di queste conversazioni che fanno da ponte tra passato e presente, per guardare al futuro verso cui ci stiamo dirigendo. Un futuro di cui non conosciamo la direzione, perché l’obiettivo, come spiega Heiko Hansen nel libro, “non è di progettare degli scenari complessi di un prossimo futuro, ma di fare in modo che gli spettatori possano fare l’esperienza della complessità del mondo attuale”. Da questo lavoro di raccolta e confronto, risulta quindi evidente l’ampiezza di un discorso sul design che è soltanto all’inizio, in costante mutamento di idee e collocazione nel tempo e nello spazio.
Si parte da un oggetto e si finisce contro lo stesso, si pensa e si ripensa, in una tensione che è parte integrante di una trasformazione riguardante la società stessa e la materia circostante, perché come spiega infine Bakker nel volume: “Il design funziona come un punto di interrogazione: è sempre legato alla domanda perché” e si basa, tanto più nelle nuove generazioni di designer, su fondamenti quali materia e funzione, anche se “cos’è in fondo la funzione? Tutti gli oggetti hanno una funzione. Anche un quadro che si appende al muro ha una funzione…”. Per dirla alla Gamper, allora, “quello che conta è il progetto” e lo dimostra anche questo libro di Quinz.