Recensioni / Un intellettuale in zona di frontiera

Riconoscere l'Altro nel medesimo; il diverso nel simile. in questo semplice ma categorico imperativo, che è politico prima ancora che estetico, è custodito il senso più profondo dell'opera di Franco Fortini. Ed è qui che il poeta, il saggista e il traduttore si stringono fraternamente la mano. In zona di frontiera. Adesso una serie di volumi da poco pubblicati ci aiutano a comprendere meglio questa ricchissima simbiosi di attitudini e saperi.
Partiamo dall'ultimo numero della rivista «L'ospite ingrato» (Quodlibet, a cura di Francesco Diaco ed Elisabetta Nencini). Interamente dedicato a Fortini e la traduzione il libro, che comprende gli Atti del convegno senese del 2017, porta iscritta già nel titolo «Per voci interposte» la qualità relazionale del tradurre fortiniano. Vi si accolgono contributi sul Fortini traduttore, sul Fortini tradotto e sul teorico della traduzione. Ne emerge una figura stratificata che si smarca con naturalezza dalla falsa dicotomia fra traduzione «letterale» e appropriazione del testo originale, per virare verso una terza via. Quella del «rifacimento» che mantiene ben visibile la distanza fra testo di partenza e testo di arrivo, per mutarla in tensione conoscitiva.
Ancora una volta il lettore, preso dall'inquieta dialettica tra straniamento brechtiano e riconoscimento, è sospinto verso quell'agnizione decisiva che fa cogliere, con le parole di Schiller, il «diverso nel simile». Traduzione e tradizione dunque, secondo la prassi indicata da quel «nesso fra classicismo e dialettica» (Tirinato) e da quella «esigenza di totalità» che rimangono centrali in Fortini. È dimostrato come il lavoro di traduzione entri a contatto con quello poetico in proprio - e qui viene alla luce non solo la nota «funzione Brecht», ma anche il ruolo delle traduzioni da Eluard, nelle quali il poeta mette a punto uno «stile da traduzione», passando «dalla sintassi alla paratassi» (Peterson).
Per la traduzione dell'opera di Fortini fuori dall'Italia si segnala almeno il saggio di Cavazzini sulla ricezione sfortunata del Nostro nella Francia post-strutturalista egemonizzata dalle ontologie della differenza, e in attrito con ogni ipotesi di totalizzazione Viene inoltre ricostruito il clima incandescente dei rapporti fra Fortini e Barthes, in riferimento alla questione dell'intellettuale engagé.
Per il Fortini traduttore va ricordato lo studio della mediazione di Noventa nelle versioni di Heine (Fantappiè), l'approfondimento sulla traduzione del Faust di Goethe (Muzzi), un'approssimazione al Proust di Fortini, fra traduzione della Fuggitiva e scritti saggistici, dipanata sul filo sottile dell'andar a capo (Fichera), la focalizzazione sulle traduzioni di Rimbaud e Baudelaire (Scotto). Emerge su tutti un saggio fortiniano, Traduzione e rifacimento, in cui il valore anche «politico» di quella che abbiamo chiamato «terza via» della traduzione viene illustrato in modo articolato, rna chiarissimo. Sempre del Fortini traduttore, in virtù di un interesse crescente, si occupano anche vari saggi di II secolo di Franco Fortini (Artemide). Il volume mette insieme gli interventi di un convegno tenutosi a Varsavia nel 2017. Qui si alternano scritti sulla traduzione e saggi sulla poesia di Fortini.
Tra questi ultimi va evidenziata l'indagine di Rappazzo su alcuni cruciali «ipotesti» fortiniani - quello biblico e Goethe. Sempre a Goethe riconduce il ragionamento svolto da Santarone sulla dimensione internazionale della poesia di Fortini, tutta orientata sulla problematicità dei «destini generali» e di quella «storia universale» in cui si inquadrano le vicende dei singoli. A questo tipo peculiare di sguardo lirico si attaglia perfettamente la formula goethiana di «poesia-mondo». Il saggio di Diaco verte su pagine ancora inedite dedicate a Baudelaire, e mostra bene come in Fortini interpretazione letteraria e disamina politico-sociale non vadano mai disgiunte. Fortini coglie, attraverso il lukácsiano «trionfo del realismo», la carica innovatrice della poesia di Baudelaire, capace di penetrare la verità profonda della metropoli moderna stravolta dalla rivoluzione industriale. Per Fortini la piccolezza morale e politica dell'uomo-Baudelaire non significa molto, perché «la sua poesia dice esattamente il contrario; essa mostra in tutto la trasformazione terribile che la storia e il lavoro introducono nella vita degli uomini». Ed è notevole come Fortini individui nei Fiori del male la griglia più efficace per leggere alcune fra le migliori testimonianze della poesia italiana degli anni Sessanta - il Sereni degli Strumenti umani, e poi Pasolini, Raboni, Giudici, Paglierani e... certi suoi stessi versi. La Milano del boom economico cede il posto, in una dissolvenza critica di grande acume, ai tratti spettrali della Parigi baudelairiana.
Di presenza 'spettrale' di Fortini negli scrittori italiani del secondo Novecento ci parla Lenzini. Al termine delle sue precise ricognizioni, condotte su testi di Calvino e Bianciardi, e finanche sul cinema di Pasolini, lo studioso si chiede: «Quanti altri autori han saputo lasciar tracce così ricorrenti, così incise a fondo nel nostro più prossimo Novecento, e proprio in alcuni passaggi cruciali della nostra letteratura?».
11 centenario della nascita di Fortini, caduto nel 2017, è stato festeggiato con diversi. convegni. Oltre i già citati va menzionato quello di Torino, i cui atti escono, a cura di Davide Dalmas, col titolo Franco Fortini. Scrivere e leggere poesia (Quodlibet).
Fortini non amava l'espressione «letteratura». Preferiva parlare di «scrittura/lettura». Formula che gli consentiva di sottolineare la natura contestuale e processuale dei rapporti sociali sottesi alla vita dei testi letterari. A partire da questa gemmazione vengono dunque esplorati i due versanti del Fortini scrittore e lettore di poesia. Vale la pena soffermarsi sullo scritto di Zinato, perché mette ben in luce la capacità e il coraggio intellettuale di Fortini nel provare a conciliare le contrapposte estetiche di due dioscuri del pensiero critico come Lukács e Adorno. L'oggetto su cui si appunta l'analisi è il saggio del '78 Sui confini della poesia (ristampato nel 2015 da Castelvecchi). Qui si mostra in modo convincente come Fortini, a partire ancora una volta da una «impossibile frontiera critica, riesca a rileggere anche il Montale di Satura in termini diversi rispetto a non molti anni prima, quando si era scagliato con veemenza contro il motto/stemma del conservatorismo montaliano «ognuno riconosce i suoi». Se Raffaelli approfondisce i nessi fra forma e politica. Dalmas ci fornisce una sfaccettata disamina, incentrata sulla categoria della «mediazione», del rapporto che Fortini ha avuto con la poesia europea. Deiana ci parla di Fortini all'Einaudi, delineando il tormentato ruolo avuto come consigliere, non solo per le collane di poesia, ma anche per quelle «leggendarie» della saggistica. Il libro si chiude con una sezione riservata ai poeti. Fa piacere che in più casi - Pusterla, Frabotta - venga finalmente sottolineata l'attualità di un libro straordinario come Verifica dei poteri. Di Fortini si evidenziano ora l'elemento eretico (D'aia). Ora l'aspetto corporale della sua poesia, cioè l'attenzione rivolta alla lettura «ad alta voce», agli aspetti fisici della recitazione: il «Comico» della poesia nell'istante in cui si contamina col «Sublime» (Fiori).
Un ampio discorso si dovrebbe fare sugli scritti imprescindibili di Mengaldo su Fortini da poco raccolti da Quodlibet, a cura di Donatello Santarone, in I chiusi inchiostri (ne ha parlato Niccolò Scaffai su «Alias» del 5 aprile 2020). Ma in questa sede sì potrà solo ricordare, fulminea chiosa a quanto detto fin qui, il giudizio scolpito da Mengaldo su un Fortini «poeta sempre politico, nel senso migliore, anche quando parla di alberi e di nidi».