Recensioni / I macellai hanno un segreto. E stavolta noi lo sveliamo

In un saggio pubblicato in italiano lo scorso anno, lo studioso canadese Daniel Heller-Roazen si domanda perché e in che modo alcuni gruppi di esseri umani si ritrovano a inventare dei linguaggi segreti e incomprensibili. Il libro s'intitola appunto Lingue oscure (Quodlibet, pp. 240, euro 19) e vuole dimostrare quanto l'uso di lingue misteriose appartenga principalmente a due grandi categorie, i criminali e i poeti: banditi francesi e inglesi, artisti dadaisti, trovatori provenzali, sacerdoti che pretendono di parlare la lingua degli dei o degli spiriti. Il cuore della questione è una constatazione che va contro la nostra idea abituale del linguaggio: a volte le parole non servono a capire e a farsi capire, ma a impedire a qualcuno di capire qualcosa.
Mi sentirei di aggiungere un altro esempio alla lista delle indagini di Heller-Roazen, e cioè il louchebem. Si tratta del gergo segreto e complicatissimo sviluppato dai macellai francesi alla fine del XIX secolo. La parola louchebem è il risultato di una storpiatura del francese boucher, che significa appunto macellaio. Lo scopo, va da sé, era comunicare fra colleghi dietro al bancone del negozio senza che il cliente potesse capire che il pezzo di carne che si stava impacchettando non era esattamente quello richiesto.
Il gigot, cioè il cosciotto d'agnello, diventa ligogem; il maiale, porc, diventa lorpic. La parola combien, che vuol dire "quanto?" ed è ovviamente cruciale per raggirare i clienti sulle quantità, diventa lombienquès. Nei miei anni francesi, ho spesso bisticciato coi mercanti di carne e i momenti più tesi riguardavano uno dei tagli del manzo che storicamente i macellai tengono per sé, e cioè il diaframma. Tenero come un filetto ma più saporito, costa anche molto meno. Due regole: si può cuocere solo al sangue, e si deve parlare la stessa lingua del macellaio.