Nel 1969, Paul Celan decide di compiere un viaggio decisivo, che aveva sempre rimandato. È Gerusalemme la sua meta, il luogo in cui spera di ritrovare una patria e una possibilità di vita che possa rifuggire da quel senso dell’esilio continuo che la terribile esperienza dell’Olocausto ha impresso come una ferita lacerante. Quel suo viaggio è ora ripercorso in uno splendido libro dell’amica Ilana Shmueli, che gli fu accanto in quei giorni. In Dì che Gerusalemme è (Quodlibet, 2003, pagg. 186, euro 16,00) l’autrice propone i suoi ricordi in un intenso racconto tra memoria e sguardo critico e, in appendice, un’antologia delle poesie più significative dell’ultimo celan, corrispondenti al soggiorno a Gerusalemme. Il poeta «presagiva un ebraismo che include la storia e va oltre di essa. L’ebraismo diventa per lui una sopravvivenza infinita- e quindi parte dell’eternità».