Recensioni / «Scelte radicali per salvare la città Il primo obiettivo è la residenza»

«Se si vuole salvare la città serve davvero un piano per la residenzialità. Non si può immaginare una Venezia sostenibile senza mettere a punto prima un cambiamento per un turismo sostenibile». Giovedì alle 19 in Campo Santa Margherita il ricercatore veneziano Giacomo Salerno, presenterà per la prima volta in città il libro Per una critica dell'economia turistica. Venezia tra museificazione e mercificazione pubblicato da Quodlibet. L'incontro, organizzato dalla libreria Marcopolo e Asterisco.

Lei ha scritto un libro su temi importanti per Venezia. Da cosa è partito?
«Venezia è il filo conduttore di un ragionamento complessivo su come funziona l'economia turistica. Ho analizzato il turismo a partire dalla sua nascita moderna nell'Ottocento per poi approfondire come i centri storici siano stati progressivamente riconvertiti a un uso differente, cioè turistico, rispetto a quello per cui erano nati».

Come siamo arrivati a questo cambiamento?
«In una prima fase i ceti popolari e i lavoratori vengono espulsi dai centri storici perché non hanno più possibilità né di residenza, né di lavoro. Ora invece tornano in questi centri storici o come turisti o come lavoratori dell'industria turistica. Quindi a Venezia è centrale in questo ragionamento perché ci mostra anche l'inversione della polarità perché dopo il declino di Porto Marghera adesso è il centro storico la fabbrica del valore. Poi questo fenomeno diffuso è legato a una serie di trasformazioni urbane. La città si è diffusa con la conseguenza che i centri storici si sono svuotati di quelle che erano le loro funzioni produttive per poi essere riutilizzati, patrimonializzati, spesso museificati e reinvestiti a uso turistico, quindi più di consumo che di abitazione della città».

La politica è stata poco lungimirante?
«Più che scarsa lungimiranza direi che c'è stata una connivenza e complicità delle amministrazioni di ogni colore a partire dagli anni Settanta quando si è puntato, con la crisi dell'industria, allo sfruttamento commerciale e turistico della città. In un primo momento sono state delle scelte temperate, ora vediamo gli effetti e la sua fragilità di questo modello, come ha dimostrato il Covid-19. Non appena è crollata la domanda, è saltata tutta la città. La monocultura turistica porta precariato nel lavoro e si mangia il territorio su cui si fonda perché porta benefici per alcuni, ma molti costi per la maggioranza».

Entrando più nel dettaglio, quali scelte sbagliate sono state fatte?
«Senza andare troppo indietro, direi che tra le scelte recenti si è puntato a specializzare la città sulla funzione turistica, sulla vendita del patrimonio pubblico che ha favorito le conversioni alberghiere. C'è un'incapacità di gestire una politica della casa pubblica. Oggi il problema principale riguarda proprio questo, il mercato della casa drogato dall'economia turistica. Nel momento in cui proprio la casa viene utilizzata come mezzo di produzione del valore, dovrebbe subito scattare il campanellino di allarme».

Che cosa si potrebbe fare?
«Premetto che molte norme sulle locazioni sono di competenza nazionale, comunque bisogna permettere alle persone di abitare questa città. E fondamentale rivedere le politiche abitative per la casa che significa da una parte la casa pubblica, ma soprattutto in un contesto ad alta esposizione speculazione abitativa come quella veneziana, porre un freno agli affitti brevi, utilizzando quello che si può della strumentazione urbanistica comunale per poi aprire un dibattito serio nazionale sulle locazioni turistiche, dato che siamo spaventosamente indietro a livello giuridico su questo tema».

Quanto i movimenti cittadini possono cambiare la città?
«Di fronte a una politica che è stata sorda di fronte a tutte le scelte speculative che si sono fatte in questa città, il fatto che il tessuto vivo di Venezia sia attivo e battagliero nel provare a difendere i propri beni comuni come gli Ex Gasometri, Poveglia o l'Ex Ospedale al Mare, rappresenta l'unico aspetto positivo. La casa non è oggetto di dibattito solo a Venezia. Una parte del mio lavoro l'ho svolto a Barcellona con i comitati che si sono battuti per primi ponendo il problema del modello dello sviluppo urbano della città turistica. Abbiamo creato la rete Set (Sud Europa di fronte alla Turistificazione) che si sta costruendo anche a Venezia. Il mio interesse principale sono sempre stati i movimenti per il diritto alla casa».

Come vede il futuro?
«Se questa città vuole avere delle chance deve puntare ad attirare dei profili che vorrebbero trasferirsi, ma che non riescono, come accade a molti giovani che finiscono l'università o anche a chi vorrebbe tornare dall'estero. Da un lato ci sono tantissime case vuote e spazi vuoti, dall'altro tantissime persone che vorrebbero vivere qui e tante possibilità di creare occupazione che non sia solo turistica. Come aTaranto non si baratta la salute per il lavoro, qui non si può più barattare la vita di una città per l'industria turistica».