Ottima riproposizione da parte di Quodlibet di questo controverso intervento di Anders il cui nucleo centrale risale al 1934. In tempi meno che sospetti Anders, in una conferenza che tenne a Parigi - già esule e privato della cittadinanza dai nazisti - davanti a un pubblico che comprendeva Walter Benjamin e Hannah Arendt ma che in buona parte ancora poco o nulla sapeva dell'opera di Kafka ancora in buona parte inedita, si scagliava con enorme e incompreso anticipo non tanto contro Kafka stesso, peraltro non troppo amato, ma contro quella che sarebbe diventata la "moda" del kafkiano che, come testimonia il lemma ormai pienamente inserito nel dizionario e il più delle volte utilizzato a sproposito, stava per diffondersi sotto gli auspici del nume tutelare Max Brod, "erede designato", che peraltro, dopo aver letto il testo di Anders, si incazzò moltissimo e ne nacque una focosa disputa. Al di là del punto di vista critico sullo stile e sulla poetica di Kafka, su cui è legittimo dissentire, a colpire ancora oggi è la potenza dell'apparato di argomentazioni, il coraggio della "militanza" che latita quasi del tutto nella critica letteraria odierna e la naturalezza con cui il discorso assume la sua inevitabile dimensione politica. Ovvero, la traccia di come la letteratura non solo sapesse dire cose sulla vita, ma avesse la potenzialità e la considerazione necessarie per influire sul pensiero degli uomini, mediate anche dalla volontà dei critici di capirla, indirizzarla, immaginarla. La natura ineluttabilmente archeologica di un testo del genere intristisce. Ma dovrebbe piuttosto far riflettere su come rendere al letterario (e alla divagazione su di esso) la sovversione di cui tutti oggi necessitiamo.