Fino ad oggi, la spiegazione più eloquente di
cosa fossero gli eteronimi del poeta Fernando Pessoa si trovava sulla
sua tomba nel Monastero dos
Jerónimos di Belèm, a Lisbona, dove le sue spoglie furono
traslate nel 1985 dal Cimiteros dos Prazeres. E una stele
addossata al muro, sulle cui
tre facce visibili sono stampigliati i versi di tre poesie, attribuita ciascuna a un autore
diverso: Alberto Caiero, Ricardo Réis, Alvaro de Campos. Sono tre dei 136 eteronimi di Pessoa. In basso sulla
faccia centrale, quasi illeggibile per il riverbero del sole, è
apposto con carattere più
grande l'ortonimo: Fernando
Pessoa, nato nel 1888, morto
nel 1935.
Oggi Quodlibet pubblica
tutti gli scritti - le istruzioni -
per mano di Pessoa circa la
Teoria dell'eteronimia, la più
esaustiva ed emozionante
chiave di lettura del vertiginoso processo mentale e creativo
da cui scaturì una produzione
poetica e filosofica unica nella
storia della letteratura.
Gli eteronimi (dal greco héteros, "diverso'; "altro") non
sono pseudonimi, come spesso si crede, laddove lo pseudonimo è un sé stesso con un altro nome; non sono personaggi letterari immaginari,
labili ombre dell'individuo originale, che anzi si sente "meno reale degli altri, meno unico, meno personale, eminentemente influenzabile da loro"; non sono voci sgorgate da
un'intrusione automatica, come quella delle scritture spiritistiche che Pessoa amava
frequentare. Essi sono persone distinte, scrittori dotati
ciascuno di una propria individualità, con biografie, emozioni, opinioni e stili propri,
che Ferdinando non condivide. "Oggi non ho più personalità", scrive nel 1928; "quanto
in me c'è di umano, l'ho diviso
tra vari autori della cui opera
sono l'esecutore". Essi non sono nemmeno escrescenze di
una personalità multipla di tipo psicopatologico, perché
queste avrebbero disintegrato l'io-Fernando, che invece è
lucido e presente, spesso simultaneamente agli altri, dove "spesso" è da intendersi
non nel senso dell'intermittenza, o che quando a scrivere
è ad esempio Ricardo Reis, il
medico latinista monarchico,
Fernando tace (anche se Alvaro de Campos "appare sempre
quando sono stanco e insonnolito, quando le mie qualità,
le mie capacità di ragionamento e inibizione sono un
po' affievolite"); bensì perché
essi non sono nati con Fernando, e alcuni sono già morti
mentre lui è vivo (Pessoa li aveva fatti nascere tutti sotto
particolari congiunzioni astrali, nelle quali credeva). Alberto Caeiro, poeta bucolico
anticlericale dedito al culto
dell'autenticità, è morto nel
1915, dopo aver trascorso tutta la vita in provincia presso
una vecchia zia; Ricardo Reis
invece è emigrato in Brasile
nel 1919 (Saramago nel suo
capolavoro lo farà tornare a
Lisbona nel '35, finalmente
libero dopo la morte di Fernando). E per questo che nessuno dei due, nel 1920,
all'epoca della storia
d'amore con Ophèlia
Queiroz, segretaria di
una ditta di trapani, è
con Fernando. C'è però con lui Alvaro de
Campos, l'ingegnere
navale oppiomane; è
lui a scrivere più volte
alla ragazza per spingerla a lasciare Fernando, in
concomitanza con l'arrivo
dell"`onda nera" che si abbatté sudi lui nell'ottobre del
1920, cui fece seguito la
decisione di entrare in una clinica psichiatrica.
C'è un eteronimo che gli
somiglia: è Bernardo Soares, impiegato e poeta, autore principale del Libro
dell'Inquietudine. Inappariscente, dimesso, abituato alla solitudine delle
camere d'affitto, Soares è "un
semieteronimo" perché, "pur
non essendo la sua personalità la mia, dalla mia non è diversa, ma ne è una semplice
mutilazione. Sono io senza il
raziocinio e l'affettività" (Antonio Tabucchi dirà che Soares, questo Pessoa mutilato, è
un uomo che sta alla finestra e
guarda).
La tecnica letteraria di Pessoa è la variante letteraria e
fantastica della liberazione
del sé dall'illusorio e doloroso
mondo mentale promessa
dalle filosofie orientali. E una
tecnica (e un'etica) atletica, esponenziale, trattale, mistica; crea o meglio riconosce sé
alternativi e paralleli che a
un certo punto e in un
qualche dove sono esplosi,
in un big bang dell'identità: "Ho creato me stesso,
obbrobrio fastoso, uno
sfarzo di dolore e di estinzione. E morto colui che
non sono mai stato".
Il più dedito alla ricerca
della verità, oltre e spesso
contro la volontà di Pessoa, è
António Mora, che vuole tornare all'epoca dei greci (indossa una toga antico-romana) e rifiuta il progresso in
senso radicale, nietzschiano:
"Bugiardi sempre, viviamo
mentendo. Non viviamo la
nostra vita; è la nostra vita che
ci vive". Non è un caso che Antònio Mora, unico in tutta la
"affollata solitudine" di Pessoa, sia recluso nella clinica psichiatrica di Cascais, dove
Pessoa in persona lo va a trovare: il racconto del loro colloquio, un capolavoro di ingegno e profondità, è in appendice al trattato Il ritorno degli
dei, firmato ovviamente da
António Mora.