O menino que era muitos poetas, "Il
bambino che era molti poeti" è il
titolo di un libro per ragazzi
portoghese che ha per protagonista
Fernando Pessoa. Nella filastrocca -
illustrata da João Fazenda - lo scrittore José
Jorge Letria rievoca la genesi dei cosiddetti
eteronimi, gli "autori altri" dei quali l'opera
di Pessoa è costellata. L'apparizione più
antica risale proprio all'infanzia, come
confermano i testi raccolti in Teoria
dell'eteronimia (Quodlibet, pagine 300, euro
20,00), libro d'ora in poi indispensabile per
orientarsi nel labirinto delle identità
multiple pessoane. Nell'elenco proposto dal
volume se ne contano poco meno di
cinquanta, tra eteronimi propriamente
intesi, semplici pseudonimi e ardite
appropriazioni indebite, come quella di cui
vittima il nostro Giovanni Battista
Angioletti, il raffinato prosatore che Pessoa
trasformò in un esule antifascista. Questa,
come sottolinea il curatore Vincenzo Russo
nel suo saggio conclusivo, è l'accezione
originaria del termine "eteronimo": si
pubblica un proprio testo e lo si attribuisce
a un altro autore, davvero esistente e
magari già noto. Nella rielaborazione di
Pessoa, però, l'eteronimo diventa qualcosa
di diverso, e diversamente impegnativo
anche in sede metafisica. È una
"individualità" che si sviluppa al di fuori di
quello che potremmo definire l'autore
principale, reclamando una propria
biografia e una propria poetica, oltre a
opinioni che non coincidono
necessariamente con quelle di colui che si
assume l'onere delle pubblicazione.
Sarebbe un errore illudersi che si tratti di un
mero esercizio letterario. Nato nel 1888 a
Lisbona, formatosi in Sudafrica (l'inglese
per lui fu molto più di una seconda lingua)
e a Lisbona morto nel 1935, Pessoa ebbe
senza dubbio un singolare senso
dell'umorismo, ma questo degli eteronimi
non può essere considerato un gioco, se
non recuperando la radicale serietà del
gioco infantile. Secondo la sua stessa
testimonianza, il primo incontro di Pessoa
con un "altro da sé" risale a quando aveva
sei anni, appunto, e si intratteneva con il misterioso Chevalier
du Pas, con il non
meno sfuggente
Capitan Thibeaut e
con un'altra schiera
di amici immaginari
che, a differenza di
quanto accade
solitamente, si
sarebbe accresciuta
sempre di più con il
passaggio all'età
adulta. Pessoa
ironizza volentieri
sull'eventualità che tutto questo
moltiplicarsi di nomi e bibliografie sia il
sintomo di un disturbo schizoide. Non per
niente, un eteronimo di un certo peso,
António Mora, viene inizialmente
presentato nelle vesti di un paziente
psichiatrico in Nella casa di cura di Cascais,
una delle "storie" riportate in Teoria
dell'eteronimia. E di «una finzione che si
mescola con la vita» parla giustamente lo
specialista Fernando Cabral Martins nella
prefazione, sottolineando come
l'esorbitante esperimento di Pessoa si
collochi lungo una linea che dal
romanticismo arriva fino a Borges. Gli
eteronimi sono molti, dicevamo, ma non è
difficile individuare una triade maggiore,
nella quale convergono gli scritti -
principalmente poetici - di Alberto Caeiro e
dei suoi due discepoli, Ricardo Reis e Álvaro
de Campos. Riconoscibili l'uno dall'altro
per lo stile e per alcune sfumature
concettuali, ma accomunati dalla
rivendicazione di una molteplicità pagana
di dichiarata impronta anticristiana. Del
cristianesimo, nella fattispecie, viene
respinto il "Dogma della Personalità", che
coincide da ultimo con la nozione stessa di
persona. Questo non impedisce a Pessoa di
tornare a più riprese sulla vicenda di Cristo,
che nella sua lettura assume le
connotazioni di un'impresa iniziatica. Ma è
evidente, anche qui, l'influenza degli
ambienti occultistici dallo stesso Pessoa
intensamente frequentati. Nulla è mai
definitivo, in questo padiglione degli
specchi di cui il celebre Libro
dell'inquietudine fornisce l'immagine più
compiuta. Pessoa potrebbe essere un
pagano, «se non fosse un gomitolo
ingarbugliato dall'interno», ammette a un
certo punto Álvaro de Campos, che in un
altro brano afferma: «Essere adulti è
dimenticarsi di essere stati bambini». A
proposito: in portoghese pessoa significa
"persona". Ma questo, come si legge in O
menino que era muitos poetas, veramente lo
sanno anche i bambini.