L’importanza di questo piccolo
libro, che raccoglie due saggi
dello specialista di diritto romano
Yan Thomas e del medievista Jacques Chiffoleau, pubblicati in modo
indipendente in anni ormai lontani
(il primo nel 1991, il secondo nel
1996), sta nel ricordarci oggi, in piena crisi climatica, la storicità del concetto di natura. La natura è infatti un
costrutto storico, che varia col variare
delle condizioni culturali e sociali.
L’attuale dibattito flosofco, storico
e giuridico sull’Antropocene e la crisi
ecologica mette in luce chiaramente
come oggi si scontrino due concezioni fondamentali e inconciliabili,
che ricordano le dispute medievali
tra realisti e nominalisti. La prima,
caratteristica di molta spiritualità
ecologica e in genere della religione
della natura, presuppone una natura
sacralizzata, una realtà “essenziale”
originariamente incontaminata. La
seconda, tipicamente postmoderna, ha decostruito questo concetto,
aprendo la strada, analogamente alla
teologia della morte di Dio, a una
concezione che presuppone la morte
del concetto essenzialista di natura.
La prima concezione è, a suo
modo, erede di un lungo processo
storico, che si compie soprattutto
in periodo medievale, come illustra
in modo efficace Chiffoleau nel suo
intervento a partire da uno studio
del sintagma contra naturam. Esso
ha le sue fondamenta nel modo in
cui una certa tradizione teologica,
da Filone ebreo a Agostino, ha reinterpretato il concetto di Physis ipostatizzandolo, in quanto creazione
e manifestazione della sovranità del
Dio unico. Con il Codice giustinianeo, poi, la natura entra nella storia
del diritto cristiano; prendono così
corpo i crimini cosiddetti contro
natura, innanzitutto omosessualità
e incesto. La natura diventa in questo modo legge morale e universale,
costituendo per il diritto un limite
esterno, fino a quel momento sconosciuto ai giuristi romani. In quanto
creazione divina, essa cambia radicalmente di segno, assurgendo a legge.
A partire da questa svolta, per cui a
un certo punto Natura id est Deus,
si viene imponendo un concetto di
natura eretta a riferimento esteriore,
trascendente e inviolabile in quanto
creata da Dio, che sta alla base del
diritto naturale cristiano e che conferisce un posto intangibile alle leggi
biologiche nel sistema parentale e
nella procreazione.
Per i giuristi romani dei primi secoli dell’impero studiati da Thomas,
invece, le norme del diritto naturale
non sono iscritte nell’ordine della
trascendenza, dal momento che la
natura è coestensiva al diritto, nel
senso che il diritto romano la evoca
per mettere ordine nelle cose. In questo senso, essa è piuttosto l’esito che la
precondizione delle operazioni giuridiche che la invocano. L’indagine
archeologica – nel senso di Giorgio
Agamben – che Thomas così compie, spregiudicata e nel contempo
rigorosamente flologica, contro una
certa vulgata che arriva fino ai nostri
giorni, attraverso una tipica procedura di desostanzializzazione
mirante a mettere in luce
la dimensione finzionale
del costrutto giuridico di
natura, riporta alla luce
una costellazione concettuale diversa e addirittura
opposta, che sembrava
ormai persa dopo due millenni di storia cristiana.
Ciò che conta non è tanto
una sua supposta – e nei
fatti negata – essenza di
tipo aristotelico, come nel
diritto naturale cristiano,
ma il suo uso attraverso
una sapiente casuistica.
La casuistica giurisprudenziale studiata con
inarrivabile maestria da
Thomas, infatti, mette
in mostra un processo
finzionale a prima vista
paradossale. Se, da un lato, la natura
è, indubbiamente, il mondo primigenio e selvaggio in cui si trovano i beni
originari di cui nessuno si è (ancora)
appropriato, in realtà il diritto si dimostra capace di istituire la natura
facendole compiere una serie di operazioni squisitamente tecniche. La
stessa natura, infatti, può essere di
volta in volta titolo d’acquisto, cagione di annullamento, interruzione o
trasmissione di beni. In questo gioco
delle parti, la natura può fornire il titolo più forte, perché originario, così
come quello più debole, in quanto
essa è sempre prescrittibile. Esemplare il caso dello schiavo. In natura, la
schiavitù non esiste, ognuno è libero.
Ma una volta che, attraverso il diritto, si è istituita la schiavitù, con essa
è stata anche istituita la manumissio.
Questa tesi originale è, trent’anni
dopo, in un’epoca di dibattiti accesi
sulla giuridicizzazione della natura e
sui suoi supposti diritti, quanto mai
attuale. Molti dei problemi ideologici con cui oggi gli ecologisti si confrontano sono in buona parte causati
dal ricorso a un concetto fondazionale di natura originaria, che può essere
preservata, conservata, se non fatta
ritornare al suo primordiale stato
paradisiaco. Il messaggio che questo
aureo libretto ci consegna è un altro.
Soltanto passando attraverso la cruna
della storia, rendendosi meglio conto
delle complesse origini degli attuali
concetti di natura, sarà possibile contribuire in modo serio sul piano delle
idee alla difesa della “natura”.