Recensioni / L’attualità della teoria giuridica di Schmitt

Cart Schmitt (1888-1985) è stato definito da Eric Schwinge «una sfinge». Era già un affermato professore di diritto quando, nel 1933, aderì al partito nazista. Dal 1936, però, fu considerato non allineato dai nazionalsocialisti. Più tardi fu "potenziale imputato" al processo di Norimberga contro i criminali nazisti. Caduto Hitler, fu radiato dai ranghi universitari. A lui dobbiamo i punti di riferimento concettuali di espressioni come custode della Costituzione, dittatura, amico-nemico, Stato di eccezione. Nella sua lunga vita, è più volte ritornato sui suoi scritti, spesso manipolando e adattando il suo pensiero al rapido cambiare dei tempi in cui è vissuto.
La conferenza pubblicata in questo libro ha una «magica forza attrattiva» e «l'attualità senza tempo di un classico» (sono definizioni di uno dei maestri del diritto pubblico contemporaneo tedesco, Armin von Bogdandy, contenute nell'articolo su La condizione attuale della scienza giuridica europea alla luce del saggio di Carl Schmitt, in corso di pubblicazione nella «Rivista trimestrale di diritto pubblico»).
Xie Libin e Haig Patapan, in uno scritto su Schmitt Fever pubblicato sul numero 1/2020 dell'«International Journal of Constitutional Law» hanno scritto che «la Cina è affascinata da Schmitt». E anche in Italia questo testo è notissimo: già tradotto e pubblicato nel 1996 con il titolo La condizione della scienza giuridica europea (con introduzione di Agostino Carlino, Roma, Pellicani), è stato ritradotto e accuratamente presentato e annotato dal filosofo della politica Andrea Salvatore, autore di studi sulla teoria giuridica di Schmitt.
In questo saggio, redatto nel 1943-44, rimaneggiato e pubblicato qualche anno dopo, Schmitt - forse influenzato anche da una conferenza tenuta a Berlino dall'italiano Salvatore Riccobono nel 1942 - sostiene la tesi che l'Europa venne riunita dalla rinascita del diritto romano, che dettò il vocabolario e stabilì una comunanza di modi di pensare al di là dei confini statali. A metà dell'800 sopravvenne il positivismo giuridico e prevalse l'ossequio per i legislatori. Il principio secondo il quale il diritto è sancito dallo Stato, senza lasciare spazio alla scienza giuridica, entrò presto in crisi. Il «legislatore motorizzato», che comprende anche ogni forma di produzione normativa dell'esecutivo, produsse «orge normative». La «letale riduzione del diritto alla legge» produsse lo «scatenarsi di un tecnicismo che si serve della legge dello Stato come di uno strumento». Appellandosi a Savigny, il «cantore della scienza giuridica europea» (come Schmitt è stato definito da Luigi Garofalo, Intrecci schmittiani, Bologna, il Mulino, 2020) sostiene che il diritto, legato alla tradizione del razionalismo occidentale, non è isolato dalla storia e che la scienza giuridica è essa stessa l'autentica fonte del diritto, così come la lingua è formata dai parlanti.
Andrea Salvatore, nel saggio finale, oltre a richiamare l'attenzione sui pericoli della giuristocrazia, mette in prospettiva storica questo «testo cerniera» dello studioso tedesco, segnalando il passaggio dal suo «decisionismo» degli anni 20 e dal suo nazionalismo statalistico degli anni 30, alla rivalutazione della scienza giuridica e all'apertura europeistica (ma senza menzionare i progressi dell'Europa della fine degli anni 40) e sottolineando contraddizioni e contorcimenti del giurista tedesco.
Una rilettura di questa affascinante conferenza, a poco più di settant'anni dalla sua redazione, e in un momento in cui si torna a parlare di egemonia tedesca, consente di valutare ciò che è vivo e ciò che è morto nelle riflessioni di Schmitt.
Vivo è certamente quel ricorrente bisogno dell'«uomo tedesco» (nel senso di Robert Musil, L'uomo tedesco come sintomo, del 1923) di cercare un gancio nel proprio passato che lo leghi all'Europa (in questo caso all'Europa romana, peraltro negata dai nazisti). In Schmitt che rivalorizza la rinascita del diritto romano nella versione savignianavedo l'eco di una riflessione che Thomas Mann, scrivendo in esilio nel 1936 - 39 il romanzo storico Lotte in Weimar, fa formulare a Goethe: questi, nel tracciare i lineamenti della sua figura fisica e spirituale, pensa con soddisfazione di provenire da un luogo «vicino al vallo romano di confine, là dove ha sempre confluito sangue romano con sangue barbarico» (dalla bella, ma talora infedele traduzione di Lavinia Mazzucchetti, Milano, Mondadori, 1955).
Morto è invece il tentativo schmittiano di costruire la cattedrale del diritto sulla sola razionalità interna alla sua scienza. Oggi è superata la preoccupazione tipica delle discipline scientifiche, nel loro rigoglio otto-novecentesco, di trovare solo dentro sé stesse legittimazione, separandosi, quindi, rigidamente dalle discipline confinanti, invece che lavorando sulle intersezioni. Contemporaneamente, le fondamenta della unità giuridica europeavengono cercate dai cultori della scienza giuridica nelle tradizioni costituzionali comuni e nel dialogo tra le corti. E, nello stesso tempo, metodi, vocabolari, discipline, sono aperti all'influenza delle altre parti del mondo, perché la scienza giuridica va ben oltre i confini europei.