Recensioni / Dottrine. Critica della teologia politica. Voci ebraiche su Cart Schmitt

Il reading ha il pregio di considerare la filosofia politica di Carl Schmitt attraverso lo sguardo critico di cinque grandi pensatori del Novecento: Walter Benjamin, Hans Kelsen, Karl Lowith, Leo Strauss e Jacob Taubes. Spesso (e ambiguamente) la cultura politica e giuridica italiana ha prestato credito alla "lezione" di Schmitt, il giurista nazionalsocialista sciaguratamente noto per la teoria dello stato di eccezione, formulata ai tempi della Repubblica di Weimar (1919-1933) secondo la quale in situazioni di emergenza «sovrano è colui che decide dello stato d’eccezione». Per Schmitt. condizioni sociali e politiche eccezionali giustificano la sospensione dell'ordinamento giuridico e dei diritti fondamentali e la consegna dei pieni poteri nelle mani di un solo uomo. In questo senso la dottrina di Schmitt fu "zeitkonform" e legittimò l'ascesa al potere di Hitler. La migliore dottrina austriaca e tedesca non si spiega la fortuna di Schmitt in Italia. Per il giurista tedesco colto, Schmitt fu a lungo un servile uomo del regime e con la sua scrittura accattivante e retorica riuscì a dare parvenza scientifica a precisi intenti ideologici, via via sempre più prossimi a quelli del nazionalsocialismo. A fronte delle tante traduzioni di Schmitt che affollano le librerie italiane e dei troppi saggi sulla filosofia schmittiana, considerata innocente o persino utile finché astratta dalla storia, il readings ha il merito di proporre una lettura per così dire "dall'esterno", filtrata da interpreti accorti e radicata nel contesto storico della Germania weimariana. La corretta storicizzazione è efficace, giacché erode quell'aura mitologica e astorica che circonda la teoria di Schmitt.
E invece, quella dottrina una storia ce ha, eccome.
Molto apprezzabile è la scelta dei curatori, Giorgio Fazio e Federico Lijoi, di offrire una bene assortita rassegna delle critiche a Schmitt. La raccolta di saggi antischmittiani arricchisce il ritratto che in Italia si ha della cultura politica e giuridica tedesca, proseguendo sulla fertile via indicata già alla metà degli anni Ottanta dal giurista italiano Carlo Amirante nella prefazione alla traduzione italiana di L'Europa e il fascismo di Hermann Heller (Giuffrè, 1987). Amirante aveva cosi segnalato la necessità di superare la semplificata contrapposizione Schmitt/Kelsen per scoprire la varietà della cultura giuridica tedesca ai tempi di Weimar. E in questa prospettiva che va la felice scelta degli autori di aprire la miscellanea con le critiche di Benjamin a Carl Schmitt e alle defomiazioni storiografiche che questi poneva a fondamento delle sue teorie. Benjamin è infatti da considerarsi un anti-Schmin. A Schmitt. per cui tutti i concetti politici sono «concetti teologici secolarizzati» Benjamin ribatteva che nessun potere umano può imitare l'onnipotenza divina, perché, se sorgesse un potere umano dotato di onnipotenza (i "pieni poteri"), non avremmo un "concetto teologico secolarizzato", piuttosto un potere demoniaco. Nessuno meglio di Benjamin comprese il volto demoniaco della dottrina schmittiana dello stato di eccezione, la cui eco risuona ancora oggi nel tempo oscuro e pericoloso dell'emergenza.