Chi era Socrate? Chi era Gesù? Ancora una
volta cercano di spiegarlo due libri recenti, Socrate innamorato di Armand D'Angour
(Utet, pp. 219, euro 20) e Il tempo della fine di
Giancarlo Gaeta (Quodlibet, pp. 122, euro 14).
Già i sottotitoli annunciano il focus scelto dai
due autori: "La giovinezza perduta del padre
della filosofia occidentale" e "Prossimità e distanza della figura di Gesù". Siamo dunque alle origini di due identità culturali che hanno
caratterizzato Europa e America e che stiamo
attivamente dimenticando grazie all'azione
dissolutoria di un presente che sopporta male
il passato, la sua memoria e le sue eredità.
Certo, la prima evidenza è che l'occidente
non sarebbe quello che è se oltre a Socrate e
Gesù non ci fossero stati, con ben altro e opposto carisma, Alessandro il Grande e Giulio
Cesare, conquistatori, geni militari e politici, icone del potere imperiale. Ma il problema è proprio questo: la separazione, l'inconciliabilità, il conflitto fra verità e potere, conoscenza e forza, che quando si sovrappongono si corrompono o si indeboliscono a vicenda. Il potere politico di Atene e Gerusalemme ha processato e condannato a morte
sia Socrate sia Gesù. Ai loro discepoli restò il
ricordo del maestro e delle sue memorabili
parole, ma niente di scritto. Perciò la persona e la sua presenza erano per loro indissociabili, ma anche non facilmente trasferibili
in un testo scritto. Di qui la potente suggestione e produttività di significati della loro
vita e morte, con il rischio di fraintendimenti, parzialità e più o meno volontarie distorsioni.
Per quanto riguarda Socrate e Gesù, che
non scrissero una riga, abbiamo a che fare
con le interpretazioni e i ricordi dí chi li conobbe, non con le loro parole. L'ironia dialettica di Socrate e il profetismo ammonitore
di Gesù non possono comunque essere un'invenzione dei loro allievi e seguaci: in quel
tono e modo di parlare agli altri c'è la loro
persona, si sente la loro voce. Entrambi presero posto in quel punto preciso di una lunga
tradizione nel quale sarebbe avvenuta una
discontinuità che spesso provocava reazioni
di rigetto e di scandalo ma che intendeva restaurare o rinnovare rispetto al già noto e al
già detto. Sia Socrate sia Gesù non complicano, semplificano: stabiliscono fondamenti
elementari di un nuovo inizio nella ricerca
del come pensare e come vivere. Da Socrate
deriveranno le scuole socratiche, più morali
che gnoseologiche (poiché l'essere delle cose è inconoscibile). Da Gesù nascerà il nuovo
ramo del giudaismo detto cristianesimo.
Il proposito di Armand D'Angour, docente
di Studi classici al Jesus College di Oxford, è
piuttosto audace: si tratterebbe di rispondere alla domanda sullo sviluppo giovanile
della personalità e della vocazione filosofica di Socrate, su cui i suoi discepoli Platone
e Senofonte non mostrano di sapere nulla: il
Socrate che hanno conosciuto è già un uomo
di mezza età e poi un anziano. Ma Socrate
non è nato filosofo, né filosofo di un tipo così
particolare. Cosa può averlo spinto a scegliere quel singolarissimo modo di filosofare e
di vivere che lo ha caratterizzato? Per tentare una risposta e vedere un Socrate meno
idealizzato, le varie fonti vanno integrate e
messe a confronto: "Il personaggio di Socrate creato da Aristofane è diverso da quello di
Platone, e quello di Platone è diverso da
quello di Senofonte; Plutarco e Diogene
Laerzio, pur mantenendo alcuni elementi di
tutte queste fonti, se ne discostano nel tono e
nei dettagli".
Per capire Socrate non bastano le idee di
Socrate (il suo metodo dialogico, dialettico,
ironico, provocatorio e paradossale), poiché
la sua filosofia è stata resa memorabile a
causa della sua vita e della sua morte: del
suo modo di vivere in povertà filosofando in
piazza con un gruppo di allievi e dell'essersi
alienato il consenso sociale e l'approvazione, la comprensione del ceto colto e dirigente di Atene, la più raffinata e filosofica delle
città greche. Fu condannato a morte perché i
suoi giudici pensarono che la sua persona filosofica costituisse una minaccia corrosiva,
dissacratoria per la stabilità sociale e politica della polis.
L'idea centrale di D'Angour è quella di un
Socrate la cui fondamentale esperienza prefilosofica sarebbe stata l'esperienza erotica.
L'indagine è interessante e in parte convincente. Del resto è soprattutto congetturale e
riguarda la persona di Socrate giovane prima della "conversione filosofica e didattica", un Socrate in un certo senso ancora
"presocratico", fuori dal mito di maestro ironico-eroico. Nella sua giovinezza abbondano
gli amori e le riflessioni sull'amore, che culminano nel Simposio, dove è Aspasia, che fu
moglie di Pericle, a esporre la filosofia socratico-platonica dell'amore, con lo pseudonimo di Diotima: "La sapienza è tra le cose
più belle e Eros è amore della bellezza, sicché è necessario che Eros sia filosofo". E che
in senso lato erotica sia la ricerca del bello e
del bene.
Anche Gaeta nel suo libro tende a "personalizzare", a concretizzare e circostanziare
il più possibile la figura di Gesù cominciando dalla sua giovinezza e dai suoi difficili
rapporti con la famiglia, con il clan di appartenenza e la città di Nazareth in cui era cresciuto. Anche in questo caso il racconto, la
storia di Gesù, viene interpretata in quanto
reale presenza in ambienti reali. E nella sua
presenza cela sempre una distanza, che culmina infine nell'alterità e nello scontro con
la classe sacerdotale. Sono "le reazioni suscitate da Gesù nei contemporanei" a incarnare socialmente il suo messaggio: "Gesù si
collocava in una dimensione sociale anomala, che ne faceva uno sradicato indegno di
reputazione, eppure socialmente e religiosamente pericoloso". Già i suoi famigliari
"avrebbero cercato di sottrarlo al suo ministero giudicando folli i suoi comportamenti". Gli stessi abitanti della sua città furono i
primi a "scandalizzarsi di lui". Quando a Cafarnao entra nella sinagoga per insegnare
"erano stupefatti dal suo insegnamento, perché insegnava loro come uno che ha autorità
e non come gli scribi". Dicevano: "Che cos'è
questo? Un insegnamento nuovo dato con
autorità! Comanda persino agli spiriti impuri e quelli gli ubbidiscono!". Era un mago?
Un seduttore del popolo? Spingeva il popolo
al fanatismo? Era "fuori di sé"? Era in estasi
o era posseduto da potenze demoniache?
Nessuna istituzione permette e tollera l'ispirazione individuale, che è sempre destabilizzante. Così è avvenuto per secoli. Oggi
che tutti recitano da ispirati, l'ispirazione
non è distinguibile dalla stolta e finta follia. I
sani si fingono pazzi e forse lo sono. Purché
senza rischio.