Tutti vorremmo vivere in
pace con la natura, alla
quale spesso attribuiamo caratteristiche materne (e del resto che cosa c'è di apparentemente più "naturale" del rapporto con la
madre?), e quasi una coscienza, una
volontà. Peccato che non ci sia niente
di più culturalmente costruito e di più
artificiale della nozione di natura, almeno così come la utilizziamo nei
nostri dibattiti morali, sociali, politici. Anche un paesaggio, per quanto
naturale possa sembrarci, può essere
frutto di scelte tutt'altro che "di natura" nel senso più basilare e ingenuo
del termine. Figuriamoci allora
quanto complicato possa essere il riferimento alla natura quando lo usiamo per questioni più astratte o nei
nostri costrutti retorici o nella dimensione sociale. Certo, per fortuna
sono sempre meno gli scalmanati
che tacciano gli altri di comportamenti o scelte "contro natura", come
se natura fosse termine neutro, pacifico, non bisognoso di ulteriori specificazioni e chiarimenti, attribuendo
alla natura le proprie idee e concezioni. Uno sguardo storico su come il
concetto di natura abbia significato
cose completamente diverse potrebbe giovarci nelle nostre discussioni
pubbliche e private.
Un libro delizioso e inaspettato,
dalla lettura impegnativa ma fruttuosa, si concentra sull'epoca romana e quella medievale, a proposito di
un punto specifico di questa polisemia e di questa torsione continua del
concetto di natura. Michele Spanò ha
riunito in un volumetto breve (L'istituzione della natura, Quodlibet) due
interventi di due grandi studiosi. Yan
Thomas, celebre storico del diritto
romano, anche se la definizione non
rende totalmente giustizia al suo
campo di interessi e al suo approccio
teoretico particolare, scomparso nel
2008, mostra come nel concreto diritto dei giuristi, e non tanto in quello
dei filosofi, la natura non funga da
fondazione del diritto, ma sia una
finzione del diritto. La schiavitù, per
esempio, istituto fondamentale del
mondo romano, non si fonda su un
diritto naturale, ma su una decisione
pienamente legittima del diritto delle
genti. E lo ius gentium introdotto dall'uomo e non dalla natura, tratta una
lunga serie di questioni, come le
guerre, la schiavitù, la legittimità dei
regni, i contratti, gli scambi, e così via.
La natura viene però usata, in questa
chiave fittizia e metodologica, quando si vogliono stabilire norme ulteriori, al di fuori delle leggi date. L'affrancamento di uno schiavo, per
esempio, può essere consentito perché lo si riporta alla sua condizione
"naturale" (che quindi contraddice la
naturalità della condizione precedente). Oppure, nel caso dell'adozione, si usa un modello analogico per
cui è possibile fare in modo che un
uomo diventi padre di un'altra persona - cosa non vera per natura -,
imitando la natura e dunque consentendo che questo avvenga se l'adottante ha un'età per cui avrebbe potuto davvero generare l'adottato. Insomma la natura, quando serve, la si
inventa È un'invenzione anche quella medievale, ma di segno molto diverso, come mostra il saggio di Jacques Chiffoleau, uno dei più noti medievisti francesi contemporanei. La
natura medievale è diversa da quella
romana, perché creata dal Dio onnipotente della tradizione giudaicocristiana, che è anche il creatore della
legge, la quale può ora dirsi, in questo
senso, anche naturale.
Secondo questa nuova finzione
metodologica, il diritto diventa "naturale" e gradualmente nasce l'idea
che alcune cose che sono contro il diritto siano quindi anche "contro la
natura". In particolare, certi delitti
contro la sfera più sacra, il sacrilegio,
crimini di tipo religioso, o che infrangono alcuni tabù, come l'incesto, assorbono la sfera del nefandum, cioè
dell'azione impura ed empia, dell'azione contra naturam.
Chiffoleau mostra come queste
due nozioni assumano benpresto rilevanza politica. Dall'XI secolo nefande e contro natura sono le eresie e gli
eretici, che dunque vengono anche
spesso accusati di essere incestuosi,
di consegnarsi a riti orgiastici, e addirittura a volte di essere cannibali. I catari sono come gli abitanti di Sodoma
e Gomorra. Con il tempo questo tipo
di crimini sarà trattato con procedure
speciali, senza garanzie (che pure
normalmente erano stabilite) per gli
imputati e, ben presto, saranno equiparati alla lesa maestà. I poteri pubblici infatti salvaguardano l'ordine
giuridico e naturale voluto da Dio e
questi crimini speciali lo attaccano,
puntando all'area del nefando e di ciò
che è contro natura: chi è contro la natura è contro il sovrano. E dal momento che solo la confessione piena
del crimine è la prova regina dell'avvenuta infrazione, ai tribunali speciali
verrà anche dato il potere di torturare.
Ma c'è anche un altro versante della
questione, meno cupo, e a questo
punto forse inatteso. Il diritto naturale è incoercibile e prevede che anche
il legame sociale sia da considerare
naturale e dunque protetto dal diritto.
Tutto ciò con il tempo produce anche
dei diritti naturali delle persone e dei
gruppi. E neppure il sovrano può sovvertire questo diritto. Nessun re può
imporre ciò che è contro la natura, se
non per diventare un tiranno, contro
il quale ci si può armare.
I due capitoli di questo libro - con
il terzo, del curatore, che mostra come anche oggi il tema della giuridizzazione della natura sia un rompicapo affascinante e decisivo - sono
due frammenti pregevoli e magistrali che gettano una luce sulle torsioni della storia giuridica europea
e su alcuni momenti della nostra
storia occidentale