passa dalle riflessioni del
gatto Murr (nessi tra sensazione e coscienza) di quel genio del racconto fantastico che è
E.T.A. Hoffmann al sillogismo disgiuntivo del cane e la lepre dello
stoico Crisippo che, a quanto pare,
come riferiscono fonti autorevoli,
fosse pure affascinato dai molluschi
e dai crostacei, in special modo dalla
pinna e dal pinnotero, un piccolo
granchio che vive in simbiosi nella
cavità palleale dei molluschi bivalvi,
la pinna appunto. Plutarco addirittura afferma che Crisippo a causa di
questa interdipendenza dei due animaletti avesse prosciugato tutto il
suo inchiostro per ricavarne un fondamentale principio: l'animale non
appena nasce, si concilia con se stesso, affida a sé la conservazione
dell'essere suo, alle cose atte a conservarlo si fa sollecito, e sfugge la
sua distruzione, e le cose che la sua
distruzione minacciano. E ancora, si
va dalla vacua notte dell'assoluto di
Hegel alle creature volanti di Avicenna, Condillac e Maine de Biran.
Aísthesis. Percezione, sensazione,
sentimento ovunque. Ma da quel
trattato iniziale e nodale che è il De
anima di Aristotele. Testo imprescindibile quanto arduo e irrisolto,
almeno nel senso di quel senso comune o sesto senso o senso interno
(coscienza?) che è uno dei rompicapi
più rilevanti dell'intera speculazione occidentale riguardo alla natura
della consapevolezza o dell'esperienza o della conoscenza del nostro esistere. Qui in questo compatto e denso volume accortamente riproposto
da Quodlibet, Daniel Heller-Roazen,,
Il tatto interno/Archeologia di una
sensazione, pp. 364, si tenta una domanda semplice. Che cosa. vuol dire
sentirsi vivi? O nel modo di Agamben: qual è il senso col quale, al di
qua odi là dalla coscienza, sentiamo
di esistere?
Il saggio dell'affilato e autorevole
Heller-Roazen si dipana per venticinque capitoli - più una corposa bibliografia senz'altro meritevole di
una fonda nota di apprezzamento -
dove si favorisce una lettura semplice, coinvolgente e comunque teoricamente capillare quanto filologicamente precisa e spaziante di un insieme di eventi esemplari che l'autore analizza come in un gioco letterario, ma riai notevoli esiti o inviluppi
filosofici. Dal cogito cartesiano, dal
"penso dunque sono", si abbozza una
linea della sensazione del "sento
dunque esisto". Quel sentire del senso che è comune a tutti gli animali. E
che attraverso il tatto, qui inteso in
maniera larga o estesa o anche eterogenea, e complessa, - nelle antiche
dottrine, l'attitudine al pensare immerge le sue radici nella facoltà tattile, lo stesso Aristotele della. Metafisica afferma il legame inscindibile
del tatto con il pensiero così che la
più grande delle intelligenze diviene
l'intelligibile toccando. Dopo secoli,
anche Tommaso d'Aquino affermerà risolutivamente l'eccellenza del
tatto, riconoscendo íl percepire e il
pensare come interscambiabile facoltà dell'attività in quel singolo spazio che è la vita - tocca l'esistenza nella maniera, più ordinaria possibile: il
toccare l'intoccabile. Un epilogo che
lo stesso autore precisa nelle parole
postume di Merleau-Ponty de Il visibile e l'invisibile. Toccare e toccarsi.
Non coincidono nel corpo: il toccante
non è mai esattamente il toccato. Ciò
non significa che essi coincidano
nella mente o nella coscienza. Oltre
al corpo, dev'esserci qualcos'altro,
che renda possibile il collegamento.
Si torna al punto di Aristotele. L'unità della sensazione è dunque il punto: al contempo uno e molteplice poiché inizio e fine di un segmento. O al
cerchio di Plotino. Se le sensazioni
non confluissero in un unico punto
come raggi di un cerchio, come si potrebbe giudicare della loro differenza? Che sia proprio questo tatto interno a essere il luogo dell'intoccabile e intricante rete dei punti che si
danno gli uni agli altri? Uno e molteplice. Come il mondo. Come gli occhi
del gatto Murr.