Recensioni / E il mondo chiuso con impeto si aprì agli infiniti mondi

Marlowe, eminente e dissoluto poeta e drammaturgo inglese, aveva, secondo Robert Greene, sloggiato Dio dal cielo, assieme a quell'ateo di Tamerlano e bestemmiato assieme al prete pazzo del sole. Ovvero quel Giordano Bruno, spirito più che affine il quale aveva lasciato l'Inghilterra alcuni anni prima. Bruno vi aveva piantato la teoria di Copernico. Il sole è un dio visibile e aveva predicato il suo nuovo vangelo dell'unità e infinità del mondo. Marlowe nel Tamburlaine parla di un Dio che non è assolutamente confinabile o riducibile, che in ogni luogo riempie ogni continente con una strana infusione del suo vigore. Bruno nello Spaccio non fa altro che espellere Dio dal cielo e sostituirlo con la sacra forza, quell'energia - anima mundi o materia - del non più circoscrivibile universo infinito. Le affinità con Bruno sembrano I evidenti, come pure le influenze dell'altro grande italiano, Niccolò Macchiavelli. Lo riporta lo stesso Greene, quando sentendosi in punta di morte, esorta il suo amico Marlowe a rivedere le idee su Dio, rimproverandolo poi di essere stato accecato dalle pestifere e ciniche nozioni politiche del fiorentino, inarrivabile e diabolico divulgatore dell'Ateismo. Il libertino e dissoluto commediografo e incaricato segreto Christopher Marlowe morirà di lì a poco nel 1593 a soli ventinove anni. Esempio morale di un Dio che sa punire i suoi nemici. O di un complotto ordito dalla stessa regina Elisabetta. Il mondo è una congerie di doppi giochi, ricatti, tradimenti, o voluti equivoci, tanto più d'idee blasfeme o azzardate e irrisorie di poteri costituiti le quali si riversavano in tutta Europa come un'onda lunga travolgendo ogni opera in nome di principi anticattolici e di una nuova e moderna confessione razionale che esalta la ragione, i principi della natura e dell'osservazione contro ogni forma di superstizione o di bieca credenza. L'opera di Machiavelli e di Bruno è pubblicata a Londra alla fine del mille e cinquecento. L'élite inglese ne è perfettamente a conoscenza. In breve, in Inghilterra si parla italiano. La diffusione di un pensiero irreligioso è, quindi, stretta conseguenza di un continuo e accorto, e spesso pericoloso, lavoro di traduzione e divulgazione di testi a dir poco empi o d'immorale e licenziosa filosofia. Da Epicuro a Lucrezio, da Platone a Giovanni Pico della Mirandola, da Pomponazzi a Cardano fino a Galileo Galilei, l'Europa s'impregna di quello spirito scettico che avvierà lo sviluppo di quell'episteme razionale che sarà il fondamento del pensiero moderno e contemporaneo non solo in ambito rigorosamente scientifico, ma anche per ciò che riguarderà lo sviluppo di una filosofia della politica ancora da rivelarsi del tutto e che ha molto da suggerire o avvertire. E magari da farci tuttora riflettere su ciò che possa significare una laboriosità di pensiero nella sua doppia, oscura o velata trasmissione e contagio. E quindi attenzione. Incollatura e compimento. Una complessità, quindi, tutta da indagare. E dove nessuna via è sicura. Appare evidente, allora, come questo volume di Saggi libertini di Gilberto Sacerdoti, pubblicato dall'accorta casa editrice Quodlibet, s'intrica di questi rapporti, come afferma lo stesso autore del libro, nel modo più evasivo e libero possibile. Tessendo, tuttavia, in maniera alquanto originale nondimeno filologicamente puntuale, quella subdola trama d'influenze che i due grandi italiani hanno esercitato sul pensiero inglese. Marlowe, Raleigh, Shakespeare, Bacone. Ed è appunto nel retro di copertina che si capisce subito l'assunto sostanziale di Sacerdoti. Qui valga per tutte la citazione di Swift. "Le opinioni pericolose, sebbene stampate solo a metà, riempiono la mente del lettore d'idee complete; e di questo l'autore non può venir accusato". Non è difficile capire come in tempi in cui l'Inquisizione bruciava gli eretici e i tiranni facevano saltare le teste dei più inoffensivi oppositori, la scrittura si appropriasse di espedienti, di stratagemmi retorici o di geniali finzioni per mettere in scena la verità. Le letture "politiche" che Sacerdoti fa della Tempesta e di Antonio e Cleopatra sono esemplari. La scena iniziale di una delle più belle e misteriose commedie di Shakespeare, quel volgersi in modo così insolente del cane blasfemo e nostromo mostra dunque un ordinamento monarchico che privo di fondamenti naturali o soprannaturali, sta per sprofondare. Il re non è in grado di fermare l'uragano. E la nave affonda. Per un re che aspiri, a essere Sole, centro e "visibilis deus" del suo regno, l'universo copernicano permetteva applicazioni teologiche-politiche ancora più dirette e convenienti di quello aristotelico, ma in un universo fisicamente infinito il centro è dappertutto, e poco importa se sia il sole a girare intorno alla terra o viceversa. L'insubordinazione del nostromo è segno di un doppio cataclisma. Da un lato l'eliocentrismo copernicano che sostituisce il sole alla terra come centro dell'universo, e dall'altro il passaggio da un mondo chiuso all'universo infinito. In pratica, il crollo del millenario edificio aristotelico-cristiano. Nel De rerum natura già Lucrezio aveva, attraverso le dottrine atomistiche e la cosmologia di Epicuro tentato di mettere in crisi l'ordine dell'universo e relegato il tutto a una semplice e inviolabile legalità naturale che libera l'umanità dal timore superstizioso degli dèi. E ora si legga Bruno e come il testo pare modellato sull'opera lucreziana. Si aprono porte e si spezzano le catene[...], io sorgo impavido a solcare con l'ali l'immensità dello spazio, senza che il pregiudizio mi faccia arrestare contro le sfere celesti, la cui esistenza fu erroneamente dedotta da un falso principio, affinché fossimo come racchiusi in un fittizio carcere ed il tutto fosse costretto entro adamantine muraglie[...] percorro da ogni parte l'etereo spazio[...] . Svanisce l'immagine di quel cielo non fendibile[...], il celeberrimo volto della natura a poco a poco inizia a risplendere. Bruno è dunque uno dei pochi capaci di squarciare il cielo senza timore. E si capisce anche che questo tipo d'implicazione, dice Sacerdoti, vada trattata con una certa cautela. Così che in Antonio e Cleopatra, il più dirompente dei concetti della nuova filosofia è rivelato - e al tempo stesso nascosto per eccesso di evidenza - nel luogo in cui meno si è pronti a trovarlo: nelle prime battute dei protagonisti.
Cleo. Se è amore, dimmi quanto è grande.
Ant. Un amore misurabile è un amore miserabile.
Cleo. Voglio sia stabilito il confine fino al quale sono amata.
Ant. E allora devi per forza scoprire un nuovo cielo e una nuova terra.
Man mano, allora, si va a precisare una narrazione nel segno di una parola occultata e nello stesso tempo trasgredita. Una parola che nello stesso tempo evidenzia quella volontà chiarificatrice che in nome della natura vuole smontare i trucchi della magia, quell'inganno o illusione che ha permesso sovrani, profeti, e religioni di regnare sull'ignoranza e sulla superstizione. Che cos'è la magia, dice Pia) se non la parte più nobile della scienza naturale, ma anche la più pratica. Ed è ovvio che non manchi il riferimento o lo svolgimento del "Trattato dei tre impostori" cioè Mosè, Cristo e Maometto. E nemmeno si escludono Zoroastro e Celso. Sacerdoti mette in campo ogni possibile combinazione e rapporto atto a dimostrare quella doppia possibilità di una scrittura esoterica ed essoterica che fa sì che necessariamente essa cammini, si custodisca e si sveli. Di questo tipo di scrittura, dice l'autore nella prefazione, di questo tipo di soggetti, l'Inghilterra italianata, a cavallo dei secoli XVI e XVII, ha prodotto dei capolavori. E i libertini? Che fossero degli ingenui cani sciolti, intellettuali senza timori? Ergo, dei miracolati?