Recensioni / Paul Celan nel kibbutz

L'editore Quodlibet ha mandato in libreria un libretto intitolato Di' che Gerusalemme è Su Paul Celan ottobre 1969-aprile 1970 di Ilana Shmueli.
È un libro pieno di storie curiose e inedite sul grande poeta (autore tra le altre cose, di Todesfuge) di lingua tedesca, che mori nel 1970 gettandosi a Parigi nelle acque della Senna.
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Ilana Shmueli e' una ex ragazza di Czernowitz, la citta' austroungarica, dove nacque Celan. Intanto e' affascinante il racconto del loro incontro, dell'amore scoperto, e bellissime sono le lettere e le poesie che Celan manda alla Shmueli negli ultimi anni della sua vita. E'3ò4 straordinario il racconto che la Shumeli fa di Czernowitz, una picccola citta' di provincia dove l'elite parla quattro cinque lingue a che da' alla letteratura tedesca diversi autori (oltre a Celan, Franzos e Rosa Auslaender).
E per chi e' riuscito arrivare fin qui: una chicca. Scrive dunque Celan, uno dei piu' grandi poeti del Novecento, e consapevole di esserlo: 'La mia memoria distrutta (...) e' un grave handicap; in Israele, dove io vorrei svolgere un lavoro concreto (...) si rivelerebbe ancora piu' grave'. Insomma: il mito del 'lavoro concreto' (manuale, produttivo di terra), alla base della convinzione di molti ebrei e non ebrei che Israele fosse una civilta' superiore all'ebraismo diasporico (sospeso in aria, astratto), era cosi' forte da riuscire a convincere perfino Celan che il suo lavoro di poeta valeva meno di quello di un agricoltore di un kibbutz (o di un muratore).
Oggi Israele esporta soprattutto scrittori.