Recensioni / I mille orti urbani: luoghi per coltivare scambi e socialità

Non è tanto una questione agricola, quanto un fatto sociale, culturale. Lo è sin dalla loro prima comparsa, a Milano ma anche nel resto d'Europa. Gli orti urbani, a partire dalla seconda metà dell'Ottocento insieme all'estendersi dell'urbanizzazione, sono «una delle espressioni dei bisogni sociali della città moderna». A raccontarlo è Antonio Longo, urbanista e docente al Politecnico, che insieme con Mario Cucchi e Daniela Gambino ha condotto una ricerca approfondita, che oggi è anche un libro (se ne parla il 15 novembre alle 18 in forma virtuale): La città degli orti. Coltivare e costruire socialità nei piccoli spazi verdi della Grande Milano (ed. Quodlibet). Oltre a squadernare la storia e la geografia dei fazzoletti di terra coltivata che nei decenni sono spuntati in città, lo studio svela una realtà inaspettata: «Quando siamo partiti con il lavoro - spiega il professore - cercavamo di censire gli orti urbani come luogo di produzione di beni alimentari, ma ci siamo accorti che questo aspetto, quello dell'apporto di cibo o dell'integrazione al reddito, era marginale». Ne è emersa la funzione sociale e culturale: «Gli orti sono lo specchio del cambiamento della popolazione urbana. I piccoli appezzamenti coltivati dai pensionati lasciano spazio all'incontro di famiglie che vogliono condividere un'esperienza».