Ci sarà un modo per sfuggire sia al
folklore della calda ospitalità e sia
al suo opposto, l'eleganza esasperata e
svenevole, e il culto di certi revers e di
certe babbucce incommensurabili. Oppure alle varie Gomorra con sparatorie e
angoscia. Una quarta via anche turistica
per Napoli è possibile, e la si trova in
Napoli Super Modern (Quodlibet), volumone a cura di Umberto Napolitano,
archistar franco-partenopea, dello studio Lan - Local Architecture Network,
che insieme al socio Benoit Jallon in
questo librone esplora una Napoli cool e
pop nelle sue architetture tra gli anni
Trenta e i Sessanta. Opera non facilissima, evitando i cliché e i presepi e le
immaginette, anche perché individuare
la città moderna nel brulicare delle
umanità e degli stili accalcati gli uni
sugli altri è arduo: eppure la città è lì,
con architetture pazzesche pronte ad attirare turisti del tipo pregiatissimo di
quelli che vanno a Belgrado o Tripoli
(ma quella libanese) per esplorarne gli
edifici. Ecco dunque opere e grattacieli
e ville costruite su quella che Walter
Benjamin, un innamorato della Napoli
architettonica moderna, definì "città porosa": perché unica al mondo costruita
su uno scoglio, su una città sotterranea,
sul suo stesso scavo di fondazione (Renato De Fusco conierà il termine di "grattaterra" al posto del grattacielo mainstream).
Napoli è ovviamente un mondo a parte,
ha la sua cucina, la sua arte, i suoi editori
e i suoi cantanti, e dunque anche la sua
architettura non può essere in linea con
quella vigente. Nella città porosa ecco
storie e manufatti clamorosi: c'è il cinema-teatro Metropolitan, che sembra la sala Twa di Saarinen al Jfk ma costruito nei
bunker sotterranei di palazzo Cellamare,
e opera di un personaggio da scoprire,
Stefania Filo Speziale, prima architetta
donna a Napoli, nata nel 1905. Lei edifica
anche lo sfortunato palazzo della Società
Cattolica Assicurazioni, una specie di Pirellone partenopeo che però diventa immediatamente simbolo di sacco edilizio
(il ristorante all'ultimo piano con le vetrate diventa il set di "Mani sulla città", il
celebre ufficio del commendator Nottola,
spregiudicato palazzinaro). L'architetta
non si riprenderà mai più.
Napoli fuori dal tempo, dunque sempre
postmoderna e sempre arcaica, in una
specie di circolarità: solo il centro direzionale di Kenzo Tange è "contemporaneo", e infatti è ben separato dalla città (e
del resto chi c'è mai stato?). Napolitano
scrive nel saggio introduttivo che i suoi
primi ricordi urbanistici sono legati a
Marcello Canino, non notissimo seguace
local di Piacentini, studiato in gioventù, e
poi una volta inurbato a Parigi tra le massime archistar, tra Rem Koolhaas e Jean
Nouvel, a un certo punto qualcuno gli fa
notare che qualcosa è molto "Marcello
Canino". Insomma a Napoli non si sfugge.
L'architettura del Novecento a Napoli offre del resto grandiose sorprese: il palazzo Della Morte a Posillipo che tra pilotis e
vegetazione amazzonica pare puro Niemeyer a Leblon alta a Rio, e invece è
opera sempre della Filo Speziale. Villa
Oro (che nomi) sempre a Posillipo, che
sembra Neutra a Palm Springs, ma col
tufo sotto; e lì collaborano due maestri, il
local Luigi Cosenza e il nordico Bernard
Rudofsky: severo architetto asburgico, va
a Napoli per abbeverarsi al mito del mediterraneo, gira le isole del golfo una a
una, si stabilisce a Capri, e poi partirà per
New York, dove in preda alla nostalgia
aprirà una casa di moda di sandali napoletani, "Bernardo Sandals".
Il mischione poroso napoletano non piace però a tutti. Le Corbusier rimane inorridito nel suo "Voyage d'orient" dagli "agglomerati spesso dubbi, orrendi, disgustosi, gli interni delle chiese sono orribili,
così pure i quadri: la gente grida per le
strade urtandosi", che sembra l' Arbasino
di "Fratelli d'Italia" ("io a Napoli vorrei
starci sempre il meno possibile, non avendo l'estetismo di merda che se ne fotte
delle sofferenze dei miseri (...). E certamente, se non arriva l'ambulanza nel traffico, non va a scuola il piccino perché
deve fare il ladruncolo, casca a pezzi il
nosocomio baronale benché più costoso
del Kantonspital di Zurigo, crepa la vecchietta dopo un sorso dal rubinetto o una
cozza al liquame, e viene massacrata la
famigliuola davanti al telegiornale, uffa
uffa (maledetto Nord colpevole di tutto!)".
Benjamin invece incantato: salendo a Roma rimpiangerà per sempre: il "moderato
cosmopolitismo di qui che mi appariva
freddo, dopo l'estremo temperamento della vita napoletana" (e "moderato cosmopolitismo", per Roma, è una definizione
niente affatto male).