Recensioni / Michele Sisto, Traiettorie. Studi sulla letteratura tradotta in Italia

Dopo il volume La letteratura tedesca in Italia. Un’introduzione (1900-1920) a cura di Anna Baldini, Daria Biagi, Stefania De Lucia, Irene Fantappiè e Michele Sisto, la casa editrice Quodlibet propone, sempre nella collana “Letteratura tradotta in Italia”, un nuovo volume interamente dedicato al mondo di lingua tedesca e alle declinazioni che esso ha conosciuto nella trasposizione italiana: Traiettorie. Studi sulla letteratura tradotta in Italia di Michele Sisto. Già coautore della miscellanea precedente, Sisto raccoglie in questa seconda uscita una serie di studi, scritti fra il 2013 e il 2018, e qui rielaborati, che hanno costituito le tappe intermedie del suo individuale “percorso germanistico in Italia” all’interno dell’impegnativo progetto LTit. Letteratura tradotta in Italia. La ricerca nazionale MIUR, nell’arco di anni, ha reso possibile a decine di studiose/i di ambiti disciplinari diversi, se pur affini, di confrontarsi con una domanda in sé forse semplice, se non addirittura banale: un testo tradotto e più in generale un agire traduttivo che cosa rappresentano per il sistema letterario d’accoglienza, quello cioè che in italiano pensa e legge e scrive?
Sisto, in un itinerario scandito da episodi esemplari, racchiusi entro una cornice teorica inedita e pertanto non sempre facile da delineare nella sua necessità, propone a sé e al lettore di approfondire il fenomeno traduzione. E organizza la disamina critica tenendo in attenta considerazione la duplice accezione – di attività e prodotto – che la traduzione ha, in una prospettiva che travalica le consuete coordinate e i ben noti paradigmi: originale vs versione, autore vs traduttore, fedeltà vs libertà, filologia vs creatività. L’esigenza di ripensare quanto si lega alla trasposizione, linguistica ma non solo, di un mondo in un altro – nel nostro caso dal tedesco all’italiano – in una dimensione onnicomprensiva, induce lo studioso a valutare, indagandone le interdipendenze, una serie di accadimenti politici, sociali, economici, personali, scolastici che hanno fatto la storia della realtà italiana del Novecento, ben oltre la dimensione esteticoletteraria e le evenienze biografiche individuali dei singoli attori. Infatti specifici eventi extratestuali hanno non soltanto condizionato la ricezione di opere e autori nel nuovo contesto ‘nazionale’, ma, a un esame attento e puntuale della documentazione, rivelano la propria forza e non di rado cogenza nella circolazione dei singoli prodotti e nella conoscenza degli autori importati, arrivando a definirne il ruolo e la nuova collocazione.
Queste indagini, che si allargano spesso inopinatamente a macchia di leopardo, rivelando relazioni e intrecci impensati, sono tanto più necessarie, nella loro faticosa e certosina acribia, perché – come afferma Alfonso Berardinelli proprio in relazione al libro di Sisto – «Si sa (ma ci si riflette poco) che soprattutto nel Novecento, e in particolare nella sua seconda metà, la letteratura italiana è stata italiana solo in parte e la formazione degli studiosi, scrittori e critici ha avuto come fondamenta soprattutto autori e libri tradotti. Il rapporto reciproco riguarda naturalmente tutte le letterature, anche se fra queste ce ne sono alcune che hanno svolto un ruolo maggiore e decisivo nei confronti delle altre, esercitando un’egemonia che ha avuto effetti positivi di impulso creativo e altri negativi di un eccesso conformistico di dipendenza».
Ma il lavoro di Sisto, in questo volume, e, più in generale, di coloro che partecipano al progetto LTit, non si limita a ricreare le condizioni individuali e di contesto che generano il trasferimento e la conseguente ricezione della letteratura di lingua tedesca nel contesto italiano. Questo sguardo, per quanto generoso e aperto a dimensioni amplissime, non viene avvertito come sufficiente: l’episodicità, la talvolta inevitabile relativa casualità delle singole Stichproben hanno l’impellenza di essere contenute e neutralizzate da una cornice interpretativa che chiarisca le premesse e le coordinate entro cui avviene il riordino del materiale esaminato e fornisca griglie interpretative omogenee ed estrapolabili al tempo stesso.
Il quadro teorico elaborato da Sisto fa proprio il concetto di polisistema letterario di Itamar EvenZohar, di cui si scrive che «è stato il primo a suggerire di pensare le traduzioni non come oggetti singoli ma come un sistema», e lo integra nella ‘scienza delle opere’ di Pierre Bourdieu. Il tentativo del filosofo francese «allo stesso tempo radicale e raffinatissimo nel rispondere con gli strumenti della sociologia alla domanda: che cos’è la letteratura?» consente a Sisto di «fare un salto dalle produttive astrazioni strutturaliste della teoria dei polisistemi, basata dichiaratamente su una lettura materialista dei cosiddetti formalisti russi, alla prospettiva più storicizzante e individuante della sociologia». Il germanista elabora delle griglie che gli permettono di definire «l’orizzonte a cui si è maggiormente interessato: non tanto al ‘corpus’ della letteratura tradotta, che comprende la totalità dei testi letterari tradotti in italiano, né al ‘canone’ della letteratura tradotta, che ne è il sottoinsieme più selezionato, destinato all’insegnamento scolastico, quanto piuttosto al ‘repertorio’».
Per ‘agire nel mondo tradotto’ Sisto adotta altresì da Bourdieu il concetto di «traiettoria» e lo adatta alla propria ricerca. Se – sociologicamente parlando – ogni azione può essere descritta come presa di posizione nello spazio sociale, egualmente tradurre un libro o un testo teatrale è un’azione sociale che viene ad associarsi a un preciso capitale simbolico. Una sequenza di prese di posizione – a sua volta in relazione con altre prese di posizione nel medesimo campo – descrive una traiettoria, che si svilupperà sia nello spaziotempo sociale sia nello spaziotempo simbolico. L’articolazione di un sistema complesso e flessibile al tempo stesso è ritenuta da Sisto premessa necessaria per sottrarsi programmaticamente a un ipotetico effetto deterministico generato da consuetudini e modelli pregiudizievoli cui non di rado anche gli studiosi indulgono.
I sette capitoli che compongono il volume, preceduti dall’incisiva introduzione, solo in apparenza sono un succedersi di studi autonomi, se pur condotti in base alla medesima volontà d’indagine e ai medesimi criteri di analisi. Uno sguardo più attento ne rivela infatti l’organicità rispetto a un disegno esplorativo legato alle potenzialità di una postulata ‘gabbia di lettura’ di cui si esplorano funzionalità e duttilità. La riorganizzazione cronologica ne evidenzia inoltre gli innumerevoli fili rossi che tramano il nuovo ‘tessuto nazionale’ creato dalla mediazione in tutte le sue innumerevoli declinazioni.
Nel primo capitolo, Individuazione di un capolavoro. I primi mediatori del Faust di Goethe (1814-1835) Sisto cerca la risposta ai molti interrogativi che gli studiosi di transfer culturale non possono ignorare. «Chi ha interesse a tradurre quell’opera? come matura questo interesse? quali profitti (economici, politici, simbolici o d’altro tipo) pensa di trarne?» – condensati in quell’unica domanda di semplicissima formulazione quanto di assai arduo responso: perché una certa opera viene tradotta? L’esempio di Faust è particolarmente illuminante: «Riconosciuto oggi come indiscusso ‘capolavoro’ della letteratura universale, la sua consacrazione nel campo letterario italiano è pressoché nulla fino al 1830 e resta assaicircoscritta almeno fino al 1860; e lo stesso vale, sostanzialmente, per quella del suo autore. La ragione di ciò va ricercata [...] negli interessi delle avanguardie letterarie del tempo, in gran parte impegnate ad affrontare problematiche, come quella del dramma storico, per le quali la produzione di Goethe non sembra offrire, a differenza per esempio di quella di Schiller, soluzioni interessanti».
Il secondo capitolo, Gli editori e il repertorio della letteratura tradotta. Breve storia delle edizioni del Faust (1835-2018), sempre prendendo come oggetto d’indagine il capolavoro goethiano, affronta le dinamiche della accoglienza e legittimazione nel campo letterario d’arrivo italiano dell’opera concentrandosi «sul ruolo che vi hanno, accanto ai mediatori e ai traduttori, le case editrici, attraverso la loro collocazione nel campo e i repertori costituiti dalle collane». Le 22 traduzioni, che coprono un arco temporale di quasi duecento anni, nella loro variegata configurazione sono un esempio magistrale di come la mediazione indirizzi e condizioni l’accoglimento di un testo, per antonomasia, capitale della Weltliteratur e che però nel nuovo sistema ‘letteratura italiana’ deve cercarsi la propria collocazione.
Il terzo saggio del volume Nascita di una disciplina. Le prime cattedre di germanistica in Italia (1898-1915) affronta un tema per prassi ritenuto di stretta pertinenza storiografica. Le implicazioni linguisticoletterarie che lo sottendono emergono invece con chiarezza dall’excursus di Sisto. Sono uomini di cultura, ma non tedeschisti, quali Benedetto Croce e Giuseppe Antonio Borgese, che indirizzano le scelte universitarie di una germanistica italiana agli albori e orientano, «con il loro capitale simbolico e relazionale» non soltanto decisioni accademiche, ma determinano anche scelte editoriali e di repertorio fuori dalle aule universitarie.
Il quarto studio, Condizioni necessarie. Georg Büchner nel campo letterario italiano (1914-1955), come dichiara lo stesso Sisto, «il più esplicitamente teorico», permette di estrapolare da un caso esemplare modelli di circolazione del ‘sapere’ letterario che, dalle aule universitarie, raggiunge il mondo editoriale per radicarsi in ambito teatrale. Dallo studio alla produzione, dalla riflessione al mondo della fruizione economicamente significativa. Büchner, e con lui molti altri autori di lingua tedesca e non, da oggetto di continua rilettura e riadattamento, in un processo incessante di appropriazione, diviene così testo e pretesto per un rinnovamento del teatro italiano che vede coinvolti i nomi dei maggiori registi e attori del Novecento nazionale.
Non solo il nome di un autore può assurgere a pretesto d’indagine. Anche quello di un autentico Vermittler-editore rende possibile delineare un panorama di estrema complessità e ricco di intrecci personali in cui l’esplorazione sistematica di un repertorio in lingua straniera alla ricerca di opere da importare può diventare il fulcro di una mediazione che si connota nella «polarizzazione fra un circuito di produzione di massa e un circuito di produzione ristretta». In La genesi di un nuovo habitus editoriale. Piero Gobetti e la letteratura tedesca del «Baretti» (1919-1926) si ripercorre la vicenda editoriale del giornalista e filosofo antifascista per il quale «Il sapere come mero dilettantismo è un fatto particolare, individuale; acquista importanza nazionale e umana, in quanto diventa organizzazione, principio di forza, di superiorità, di vitalità. Lo spirito è fattivo quando da possibilità inerte si fa sistema, cultura. Il processo della cultura s’identifica con la formazione intellettuale. [...] È qui che entra in gioco l’editore».
Autori, opere, case editrici, traduttori, mediatori, recensori: i soggetti che abitano il mondo del transfer culturale sono nnumerevoli. E la prospettiva può essere ulteriormente allargata. Il genere letterario, il romanzo, diviene allora il filo rosso del sesto capitolo La consacrazione del romanzo. Traiettorie delle collane di narrativa straniera nel campo editoriale (1929-1935): un genere che nella produzione di massa ha sempre goduto di ottima salute, sia in originale che in traduzione, diviene interessante anche per la produzione ristretta. Grazie «alla selezione molto stretta» curata da personaggi quali Borgese, Dàuli, Mazzucchetti o Farinelli, traduzioni e curatele a firme riconosciute come Deledda, Aleramo, Palazzeschi o Pavese e una lettura molto orientata attraverso prefazioni fortemente interpretative a cura di specialisti quali Cecchi, Bontempelli, Baldini o Spaini opere letterarie innovative e fortemente marcate in senso estetico raggiungono un pubblico che non vuole solo essere intrattenuto, ma anche informato e reso partecipe dei momenti d’avanguardia generatisi in altre lingue.
L’ultimo capitolo del volume riprende il discorso teatrale. La collana Teatro/Teatro moderno di Rosa e Ballo viene contestualizzata nelle complesse dinamiche fra i fautori del teatro del grand’attore e il teatro di regia e rivela come, proprio grazie all’importazione di nuovi testi per un nuovo teatro, le drammaturgie straniere diventino patrimonio condiviso e inalienabile della drammaturgia italiana.
Le domande che Sisto pone e si pone nel suo lungo indagare sono altrettanto importanti delle risposte, se non forse ancora di più: la ricchezza di conclusioni e la loro fondatezza sono sempre originate da interrogativi ben posti e articolati, mai retorici o autoreferenziali. I risultati cui l’autore perviene delineano infatti inediti scenari suscettibili, è chiaro, a loro volta di approfondimenti, riletture, precisazioni. Il rigore e la programmatica nonvolontà di voler dimostrare necessariamente qualcosa di individuato a priori aprono alla discussione: una discussione sempre legata a una inedita massa di dati documentari la cui lettura, però, potrà e anzi dovrà non essere univoca per rendere possibile una migliore comprensione del fenomeno forse più pervasivo in assoluto della cultura e della comunicazione: la mediazione.