Recensioni / Le lezioni di Fotografia di Luigi Ghirri sono immortali

Tra il gennaio 1989 e il giugno 1990, Luigi Ghirri tenne alcune lezioni di fotografia presso l’Università del Progetto di Reggio Emilia, un vero e proprio alfabeto che il fotografo amava insegnare ai suoi allievi e attraverso il quale esplorava la storia della fotografia mondiale. Una storia che passa necessariamente da un allenamento della vista a ciò che ci circonda, “per pulirsi un po’ lo sguardo”: Luigi Ghirri e la sua fotografia hanno infatti cambiato il modo di guardare il mondo. Un’intera generazione di fotografi addirittura non esisterebbe senza la sua opera racchiusa in un libro che ancora oggi non cessa di stupire e di raccogliere schiere di lettori, esperti di fotografia o semplici appassionati.
Leggere Lezioni di fotografia avvicina all’arte di Ghirri ma non solo. È uno strumento che concretamente fornisce un solido background per chi vuole diventare un fotografo. “Un punto centrale è quello di scegliere un tipo di immagine, o un metodo,” sostiene Ghirri, “il che significa decidere di dare la massima informazione possibile in tutti i sensi, oppure scegliere e privilegiare un solo tipo di informazione, che può essere la luce, l’inquadratura, la profondità di campo. Questo credo sia un modo corretto per cominciare ad appropriarsi dei fondamenti”.
Luigi Ghirri nasce a Scandiano, un paese in provincia di Reggio Emilia, nel 1943. Negli anni Settanta comincia a scattare le prime fotografie durante le vacanze estive e nei weekend. La sua necessità sin da subito è quella di fotografare a colori perché, diceva, “il mondo reale non è in bianco e nero”. La sua sperimentazione artistica parte quindi da qui, e piega il colore a una funzionalità visiva che prima di lui non ha eguali in Italia. Già nel 1973 porta avanti, nella serie “Catalogo”, una ricerca estetica all’avanguardia, raccontando la ripetitività della cultura contemporanea. È in questo periodo che fotografa porte, finestre, serrande e muri.
Poco dopo decide di abbandonare la professione di geometra per dedicarsi esclusivamente alla sua passione, facendola diventare un lavoro. Da qui inizia l’affascinante viaggio che lo porterà in giro per il mondo e che lo consegnerà alla storia come una delle figure dominanti nel panorama della fotografia. Parallelamente inizia anche l’attività di docenza. La più importante è proprio quella presso l’Università del Progetto, scuola di design a Reggio Emilia dove tiene le sue lezioni, di fotografia e di vita, che diventano dei veri e propri eventi al punto tale che dalla raccolta di alcuni appunti dei suoi allievi è nato questo celebre volume.
In Lezioni di Fotografia, che si potrebbe considerare anche un po’ la sua autobiografia, Ghirri afferma che le tradizioni della fotografia sono due: farsi specchio della realtà o essere finestra sul mondo. “Io,” dice Ghirri, “personalmente ho sempre optato per la seconda declinazione”. E ancora: “La fotografia è un linguaggio per porre delle domande sul mondo”, dice spostando il fulcro di tutto sull’immaginazione; fotografia non più come documentazione del reale, ma come sua interpretazione. Già quarant’anni fa Ghirri sostiene che “la realtà è diventata un colossale fotomontaggio”. Alcune delle sue fotografie stuzzicano infatti lo sguardo dell’osservatore generando interrogativi sulla realtà apparente. “La fotografia è un enigma,” afferma ancora. “Io preferisco questa interrogazione continua su quello che si deve vedere e quello che non si deve vedere. Mostrare come ci sia sempre nella realtà una zona di mistero, una zona insondabile che secondo me determina anche l’interesse dell’immagine fotografica”.
La concezione di fotografia come soglia aperta sul mondo, insieme al concetto di esclusione attraverso l’inquadratura, rendono il suo approccio peculiare. Nelle sue foto infatti sono innumerevoli le soglie attraversate, come anche le vetrine che riflettono il mondo circostante; o ancora le colonne che fanno da quinta e che aprono su un paesaggio o uno spazio e che per Ghirri escludono una parte di realtà. Nelle sue lezioni Ghirri dedica grande attenzione ai bordi dell’immagine, che poi sono quelli che delimitano l’inquadratura, e agli esercizi che egli stesso assegnava ai propri studenti per migliorare il modo di osservare il mondo. Altra soglia, come fosse una nuova finestra sul mondo, è la luce. “Ho scelto di non usare mai una luce troppo cruda, forte, ma piuttosto di tendere a una maggiore distanza e attenuazione,” spiega Ghirri, che lavora tra l’altro secondo i tempi della fotografia analogica. Per i suoi scatti sceglie le ore dove la luce si trasforma, ovvero l’alba e il tramonto, oppure la notte quando si accendono i neon o i lampioni gialli.
In questo must-have di ogni fotografo Ghirri spiega come in questa arte ci sia uno scontro perenne tra forze opposte: tra il bianco e il nero, tra il buio e la luce, tra l’inclusione e la sottrazione. “Se uno ci pensa, nella fotografia c’è il negativo e il positivo. È un rapporto tra la luce e il buio. È un giusto equilibrio tra quello che c’è da vedere e quello che non deve essere visto. Quando noi fotografiamo, vediamo una parte del mondo e un’altra la cancelliamo”. Una buona foto è dunque una delicata sintesi di molti fattori: ogni scatto necessita di un equilibrio tutto suo che rispecchia il rapporto che si instaura tra macchina e fotografo, spesso difficile, come il raggiungimento di una fotografia che comunichi qualcosa.
Secondo il fotografo, è necessario lavorare per gradi e step, senza avere fretta, e anzi è indispensabile moltissima pazienza. Ghirri invoca la lentezza dei ritmi, lezione che oggi sembra quasi impossibile da seguire ma che per lui era conditio sine qua non per immortalare qualcosa di davvero unico. Infine è necessario interpretare perché “c’è una rigidità che è propria della macchina. Allora il fotografo, per restituire la complessità di quello che vede, deve sopperire a questa rigidità della macchina, che ha una gamma di possibilità molto ampia ma non certo lineare e automatica come quella dell’occhio umano”.
Altra lezione fondamentale è ampliare il proprio background, in quanto “qualsiasi tipo di linguaggio, qualsiasi forma di espressione, non è più qualcosa di specifico, chiuso, omogeneo, nessuna opera può essere collocata e letta in maniera didascalica e semplice ma piuttosto sempre come frutto di una serie di relazioni tra diversi mondi della comunicazione”. Così come è importantissimo liberarsi di tutto ciò che è superfluo. In questo Ghirri mostra tutta la sua visione, anticipando quello che sarebbe venuto poi e che lui non avrebbe visto, essendo scomparso improvvisamente nel 1992, a causa di un infarto, a soli 49 anni. “Bisogna semplificare la strumentazione,” ripeteva perché, “ormai si parla più della fotocamera che della fotografia. Dobbiamo utilizzare la tecnologia come liberazione, non come costrizione. Spesso in fotografia accade esattamente l’opposto”.
Come scrive Gianni Celati all’interno del volume, “L’idea fondamentale di Ghirri applicata alla foto è quella della proiezione affettiva: lo sguardo come incontro con le cose, verso cui si dirige una nostra tendenza intima”. E lo sguardo di Ghirri è sempre sul crinale tra realtà e mistero, enigmatico ma per questo attraente e che restituisce stupore prima ancora di quello che l’immagine sta a rappresentare. Grazie a queste lezioni è possibile costruire un approccio visivo personale, uno stile che identifichi il fotografo. Una vera e propria “mappa sulla quale ognuno può trovare la sua strada pur muovendosi all'interno di una serie di regole prestabilite, di conoscenze necessarie”.