I titoli disponibili in italiano dei lavori dello storico
dell'arte Giovanni Careni, che insegna tra Francia e
Italia, mettono a parte non solo dei suoi interessi,
ma introducono anche alla sua metodologia: La
fabbrica degli affetti. La Gerusalemme liberata dai
Carracci a Tiepolo, Caravaggio. La fabbrica dello
spettatore, Voli d'amore. Architettura, pittura e
scultura nel «Bel composto» di Bernini (di quest'ultimo l'originale francese era più bello e in fondo più
vero: Envols d'amour. Le Bernin: montage des arts
et devotion baroque). Fabbrica va inteso nel senso
di montaggio e fa intendere l'opera d'arte come dispositivo, in cui operano insieme strumenti critici diversi ma coordinati.
Varie competenze si alleano così in un percorso ermeneutico ricco e originale. Alla fine lo stesso autore parla di "elementi abbondanti ed eterogenei". Sorprende che nel titolo manchi la parola "montaggio" o "dispositivo", così come il titolo italiano sia in realtà il sottotitolo dell'originale
francese del 2013, dove c'è un più suggestivo, sebbene pure esso parziale, Il torpore degli antenati. Tutta la ricerca converge, infatti, verso le
lunette e le vele dipinte da Michelangelo, con la raffigurazione di spossati personaggi, presi nelle loro umili occupazioni quotidiane e familiari.
Quale è il senso di questi ebrei (tali sono gli antenati di Cristo), di solito
poco considerati dagli studiosi e che, invece, sono stati oggetto di grande attenzione da parte del pittore fiorentino? La loro posizione mediana,
tra gli ieratici pontefici di sotto e gli eroici profeti e sibille di sopra, è insieme il loro limite e il loro punto di forza, Careri ci arriva in un lungo,
complesso capitolo (il terzo), dopo aver introdotto alla "macchina" della
Sistina (colta nel suo insieme), soffermandosi prima sul "Giudizio universale" (con bellissime considerazioni su quella che chiama "serpentina
cristica", il movimento che anima, a partire da Cristo, i corpi
risorti, o meglio in via di resurrezione, conformati - appunto
- cristicamente, tra timore e speranza) e poi sulla teologia
della storia della Cappella nel suo insieme, combinando il
duplice apporto michelangiolesco agli affreschi quattrocenteschi che introducono al rapporto tra cristiani ed ebrei. I temi
trattati, come detto, sono molteplici e riguardano il senso
teologico della storia, le resistenze al compimento messianico, la costituzione del soggetto moderno tra assoggettamento
e soggettivazione, la comprensione dell'altro (in questo caso
l'ebreo) facendo ricorso sia alle fonti antiche che agli studi,
anche recenti, non smettendo di dialogare con essi e, soprattutto, con le immagini dipinte. Molti, quindi, gli excursus,
iconologici, storici e antropologici (ad esempio: che c'entrano
gli ebrei con la cerimonia del possesso papale o con il carnevale romano e che c'entra tutto questo con la Sistina?). Careri, da buon insegnante, sa condurre passo passo il lettore nel suo percorso non sempre facile. In verità, qualche asperità resta; ad esempio, io ho
qualche perplessità a proposito della fluidità tra dimensione sociale e dimensione individuale nella costituzione della soggettività - temi foucaltiani forse troppo facilmente dati per scontati. Detto questo, i primi due
capitoli sono una ottima introduzione alla Sistina e, anche dove tutto
non torna così facilmente, gli spunti di riflessione sono tantissimi (e tutti
fondati, vedi l'apparato critico, decisivo ma non asfissiante). Una nota
speciale al bellissimo epilogo (Aspettando Godet nella Cappella Sistina) che va detto DOPO le 250 e passa pagine che lo precedono. Un confronto, quello con Beckett (che, come Michelangelo, amava e conosceva
benissimo Dante), a cui si arriva un po' estenuati, che fa come deflagrare
le questioni somme affrontate in questo percorso appassionato e lucido.
Non è un caso che tale epilogo si apra e si concluda con due citazioni di
Benjamin. Possiamo legarle all'inizio del primo capitolo (Fare l'antropologia della Cappella Sistina) e abbiamo un quadro di riferimento
plausibile in cui Careri si muove, e noi con lui.