Recensioni / Il turbocapitalismo genera l'uomo in debito

Tutta, la ricchezza dell'uomo è in ciò che gli manca. L'alzo di Maria Andrea Rigoni sembra ben introdurre questo saggio di Elettra Stimilli, Il debito del vivente, pagg. 266, che Quodlibet offre in versione ampliata e rivista. La frase sembra alludere che sia proprio l'insufficienza, la limitatezza, Fessere in difetto, a caratterizzare una sorta di risorsa, di agiatezza, di prosperità. Un benessere, in pratica. Una floridezza Una felicità. Di colpo scompare l'uomo che ha caratterizzato il novecento, l'uomo con tutte le sue affascinanti oggettivazioni letterarie e filosofiche, gli eroi senza qualità, i giocatori falliti, gli insetti schiacciati, gli schizo, e così via per lasciare spazio a una nuova dimensione dell'antropico: l'uomo in debito. Questa nuova caratterizzazione dell'uomo economico, ormai sempre più evidente e pervasiva, sembra trovare interessanti spunti d'indagine e di riflessione filosofica in ciò che a detta della Stimini sembra intravedersi nelle pagine di un Weber, che pur presentando l'ipotesi di un'origine del capitalismo nel pensiero religioso e utilitaristico del calvinismo nelle forme dell'ascetismo mondano, ne lascia aperta una falla e, quindi, una possibilità di nuovi e più approfonditi sviluppi proprio in ciò che può apparire una grande insensatezza, che lo stesso Weber aveva avvertito ma che aveva lasciato irrisolto e che Kant, con un'espressione imprudente ma tanto efficace, riesce a far comprendere in maniera esaustiva: la finalità senza scopo. La questione filosofica sottesa è ampia, ma vede in Aristotele un forte supporto teoretico. In breve, e senza voler ulteriormente complicare ciò che è già di per sé complesso, la prassi, il fare stesso è il fine di ogni azione. Non tanto l'opera che si crea, ma l'agire. II procedere. E il processo stesso a essere risolutivo. Di conseguenza, la tesi della Stimilli è che nelle forme di produzione contemporanee, più che la capacità di produzione in senso stretto, - produrre per un bisogno o per un utile, - sia in gioco qualcos'altro, e che non sia qualcosa di esterno, una merce, un creato, a essere decisivo allo spirito capitalistico ma proprio ciò che emerge esserci di più irrazionale: l'atto fine a se stesso. Non più la vecchia logica dell'alienazione della critica marxista, dell'operaio come parte integrante dell'ingranaggio produttivo, ma l'insensatezza del capitalismo evoluto di aver messo in campo un sistema che si autoregola in una finalità che è la sua stessa sopravvivenza. Una prassi che contiene il suo fine. E un potere che nell'epoca della globalizzazione ha assunto la forma dell'economia nella sua declinazione finanziaria del debito, L'uomo in debito è il primo gradino di una finanziarizzazione dell'economia che coinvolge gli stati e ogni singola particella di una comunità ormai vasta e, per quanto ci si sforzi, affatto intellegibile. Gli stati sono in debito. L'umanità è in debito. E il mondo è pago. Addirittura, potremmo dire, se non fosse per quest'accidente della pandemia, che sia il migliore mondo possibile. Il che è vero, sebbene suoni strano. Cioran direbbe che ogni fallimento ha una sua intrinseca vittoria. E ovvio, d'altra parte, che la questione del debito non attiri e non appartenga unicamente a un ordine economico. L'implicazione della politica è notevole. E anch'essa in debito. Mancante e fine a se stessa. Ma, forse, il profondo, la nostra dovizia, o la nostra opulenza è tutta qui, in questa nostra miseria velata e marcata dalla nostra essenza ascetico-religiosa o antropologica che è sì di natura economica, si legga la parabola dei talenti nei vangeli sinottici, ma anche, e in questo saggio si rileva in tutta la sua forza, di natura assurda e irrazionale. L'uomo si riconosce sotto varie maschere, ma quella più plausibile sembra la sua natura cinica e paradossale. Dice bene Foucault, spesso citato dalla Stimilli, l'ascesi è una tecnica di vita. Che il capitalismo, e non solo, l'abbia fatta propria è fuori discussione. Resta da capire se ci sono altri margini di sopravvivenza. O di salvezza. O se questa ricchezza possa essere l'unica fonte cui potersi abbeverare.

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