In una lettera del 1868,
Dostoevskij racconta di
come, con il suo principe
Myskin, si fosse proposto di
«rappresentare una natura
umanamente piena e bella».
Compito assai difficile, dal
momento che nel mondo c'è
stato solo un personaggio
così, ossia Cristo.
Per descrivere la radicale
atipicità del protagonista del
romanzo L'Idiota,
Dostoevskij pensa a un
Cristo folle, "idiota" nel
senso etimologico di figura
irreale, se con "realtà" si
intende ciò che ci fornisce
ogni giorno la giusta misura.
Leggendo l'ultimo libro di
Giancarlo Gaeta, II tempo
della fine (Quodlibet), si ha
la sensazione di incontrare
un Gesù assai simile: un
personaggio che strappa la
realtà dal suo corso ordinato;
non però per la sua sola
bontà d'animo, come nel
caso di Myskin, quanto per
la radicalità del suo
messaggio, per il coraggio
che esso richiede.
Il rigore filologico in Gaeta è
accompagnato da una prosa
lineare e accessibile, che
permette di entrare in
contatto con la vita di Gesù,
di immedesimarsi nella
concretezza sensoriale della
storia in cui si svolge, e di
sperimentare in prima
persona il dramma che la sua
irruzione ha comportato per
i contemporanei.
Gaeta dirada la nebbia alzata
su Gesù dalle narrazioni
religiose, per fare delle
vicende di questa vita di
compassione e coraggio la
più concreta
rappresentazione della
verità che essa porta: una
verità non banalmente
comunicata, bensì realmente
vissuta in prima persona.
La figura che secoli di
teologia hanno stratificato e
normalizzato, appare in tutta
la sua sorprendente
problematicità se osservata
con gli occhi di un
osservatore del tempo.
Gesù provoca scandalo, ha le
parvenze di un folle o un
indemoniato; a meno di non
accogliere la notizia che la
sua vita incarna.
E, se non si vuole
depotenziare il messaggio
del Cristo, ci si deve
confrontare proprio con la
sfida che la sua vita
rappresenta sottraendosi
all'ordine sociale, rifiutando
di rimpiazzarlo con un altro
ordine che riattivi la storia
dell'uomo e, anzi,
annunciando il compimento
della storia.
Non è una nuova religione
quella che annuncia Gesù,
sebbene sul suo messaggio si
siano strutturati un culto e la
più longeva istituzione
umana; non è un annuncio
che riordina la storia
indirizzandola verso un
futuro compimento.
Allo scandalo della sua
venuta corrisponde lo
sconcerto per la sua morte in
croce, che sembra frustrare
ogni attesa messianica.
Ma se con Gaeta si sospende
l'elaborazione teologica e
quella della storiografia
moderna per accedere
all'intimo significato
dell'evangelo, gli eventi
della vita e morte di Gesù
non aprono la strada di un
Regno che verrà nel futuro,
ma ricapitolano la storia in
un'abbreviazione del
passato nel presente.
Non si giunge, con Gesù, alla
fine del tempo, ma si
inaugura il tempo della fine,
che sco ordina l'ordine del
mondo pur senza mutarlo, e
interrompe il progresso della
storia pur senza fermarne il
corso, chiamando piuttosto a
uno scavo nel qui e ora per
riportare alla luce in questo
tempo il Regno che Gesù ha
rivelato.