L'ultimo libro di Rita Fulco
indaga da un punto di vista ontologico il rapporto tra soggettività e potere nel pensiero di
Simone Weil. Il pre-originario,
relativo all'analisi di ciò che, in
forma universale e sostanziale,
sta all'essere in quanto tale, alle sue dimensioni imprescindibili colte al di là delle determinazioni contingenti. Soggettività e potere. Ontologia della vulnerabilità in Simone Weil (Quodlibet,
pp. 165, euro 20), il volume è diviso in tre capitoli e segue un
itinerario di pensiero che parte
dalla decostruzione weiliana
della soggettività, attraverso il
movimento del distacco e della
decreazione, individuando l'umanità dell'umano al di là del
soggetto, della metafisica del
potere e nel sentimento di giustizia.
Nel confronto con l'analisi
di Simone Weil, Rita Fulco indica, come un primo elemento
che specifica il «proprio»
dell'essere umano, l'esposizione senza difese alla necessità e
alla forza. Venire al mondo
coincide con questa esposizione che sarebbe errato considerare pertinente solo al momento della nascita. È qualcosa che
attraversa e accompagna tutta
l'esistenza umana e non solo.
L'esposizione svela dimensioni essenziali per la riflessione
di Simone Weil sulla soggettività. Il suo carattere aperto e proiettato verso un fuori di cui
non siamo padroni e che non
può mai essere inteso e vissuto
come autocentrato. Non tutto
dipende da noi. Siamo sempre
esposti alla necessità e dunque
soggetti al caso.
La nostra «natura» è intrinsecamente vulnerabile e sottoposta a un limite. Non accettare
questo dato essenziale della
condizione umana, produce
una distorsione nel modo in
cui abitiamo e intendiamo la
realtà, noi stessi/e e gli altri. E
dalla percezione della vulnerabilità e dal contatto con il limite che si hanno giustizia e saggezza. Nell'approccio critico alla soggettività, Simone Weil vede le continue illusioni che l'io
si fabbrica per fuggire tale consapevolezza attaccandosi al
possesso delle cose nella brama di essere qualcosa. Una difesa naturale, una disposizione
psichica, sostenuta e amplificata dalla dimensione sociale,
che protegge da ciò che è imponderabile e che ci espropria
da questo dato di fatto. Per sopportare il dominio incontrastato della forza nella physis è necessaria un'educazione spirituale che ci insegni a gestire
tutte quelle situazioni in cui
sperimentiamo sulla nostra
pelle l'illusorietà del nostro potere comprendendo la nostra
vulnerabilità.
Nell'interpretazione che Simone Weil offre della civiltà
greca, si fa riferimento alla profonda consapevolezza che questa civiltà aveva della miseria
umana e, conseguentemente,
del fatto che nessuno può sfuggire all'ineluttabilità del destino, parte integrante dell'ordine dell'universo.
La meccanica spirituale è
iscritta nella logica della creazione al pari di ogni meccanica
fisica. Ma, a differenza delle leggi implacabili e ferree che regolano il corso degli eventi naturali, quelle che riguardano la
soggettività umana sono soggette a infinite variabili e richiedono un «addestramento»
costante. Simone Weil accorda
così grande importanza alla
formazione spirituale e culturale perché performa i processi di soggettivazione. Fulco sottolinea a più riprese l'importanza per Simone Weil di dare
vita a una «psicagogia», a un
processo di formazione costante dell'anima umana nella solitudine indispensabile al pensiero e all'azione, mettendo altresì in luce il carattere problematico e ambiguo che tale «formazione», pensata secondo un
immaginario di classe, potrebbe avere nei processi di soggettivazione, dal momento che potrebbe tradursi in un'imposizione di determinate forme di
vita. Resta che solo attraverso
un «addestramento» costante
dell'animale che è in noi, è possibile costruire l'architettura
dell'anima, far nascere la facoltà di attenzione che genera il
desiderio di giustizia. Conquistare una disciplina interiore
ci consente di apprendere l'arte soggettiva del distacco e della decreazione. Assume qui un
ruolo centrale l'abitudine che
testimonia dell'antico legame
tra corpo e spirito e della natura plasmatrice dell'anima attraverso cui si ha un trasferimento di sensibilità della coscienza
in un oggetto diverso dal corpo
proprio. Simone Weil lo chiama corpo artificiale per indicare
quella meravigliosa capacità
che il corpo ha di incorporare,
come proprio corpo, tutti quegli strumenti che estendono la
sua sfera d'azione. E la scena su
cui si apre la riflessione sull'impersonale come via di corrispondenza (e non di conquista) dell'universo. Dalla concretezza di
quest'attività plasmatrice dell'anima sul corpo si assume un modo d'essere, un habitus che appare come qualcosa di naturale,
qualcosa che sembra andar da sé
mentre è frutto di lavoro.
L'estensione della percezione
su strumenti che hanno la stessa immediatezza del proprio
corpo è al centro di molte sue
analisi poiché mette in luce la
vera natura del lavoro. Gli
esempi che ci offre sono molteplici: quello del bastone da cieco che diventa, al posto della
mano, il luogo sensibile su cui
il cieco può fare affidamento;
quello del marinaio che diventa tutt'uno con la propria barca
tanto da percepirne le posizioni e i movimenti come propri;
quello del musicista che diventa il suo strumento. Ciò che qui
accade è un trasferimento della sensibilità dal proprio corpo
al corpo artificiale (strumento). Tutto ciò mostra come l'anima sia capace di dislocarsi fuori dal proprio corpo in cosa altra. L'estensione della propria
percezione attraverso gli oggetti non corrisponde per Simone
Weil a un'estensione di sé, dei
proprio io, al contrario, a una
riduzione, a uno svuotamento
di sé. Più che dominio c'è consegna alla struttura dell'ordine
del mondo, alla modificazione
necessaria che là strumento richiede per confermarci alla
realtà, dei rapporti. L'abitudine
ci offre l'apprendimento di un
metodo attraverso il quale ci
impossessiamo - dislocandoci
da noi stessi - del mondo oggettivandoci in qualcosa di altro
da noi. Tale trasferimento della sensibilità, possibilità di
Cornelia Parker, «Cold Dark Matter. An Exploded Vievn
estensione e di prolungamento, è essenziale per aprire nuovi tracciati d'intensità che ci
fanno riconoscere come nostro il volto di chiunque subisca i colpi della sventura.
Solo sapendo che ciò che accade agli altri può accadere a noi, è
possibile disegnare le basi di una
teoria degli obblighi verso l'essere umano. E qui si apre il versante giuridico-politico dell'analisi,
che apre una finestra anche sul
lavoro operaio e sul ruolo dei
partiti politici. Obbligo è responsabilità nei confronti degli altri. E corrispondenza. E dare una risposta di prossimità a
chi si trova schiacciato dagli
eventi, dalle calamità, dalle ingiustizie. Ecco perché il darsi
dell'obbligo è considerato come
simultaneo all'esserci dell'umano. L'invito weiliano che l'autrice coglie come compito da
avviare in questo nostro presente è «pensare le nozioni fondamentali come se fossero delle realtà nuove». E un compito
complesso e necessario che Rita Fulco estrae da questa lettura attenta di Simone Weil e che
riconsegna noi lettori e lettrici
«all'intima estraneità» delle vite e della vita. Fondamento
dell'essenza conoscitiva nella
dimensione materiale della
vulnerabilità in cui ricaviamo
il senso preciso dell'orribile
conflitto che questo «nostro»
mondo vive.