Recensioni / Verso la rivoluzione mentre l’acido sale

Parlare di psichedelia è difficile, persino a Berlino dove vivo e dove acidi e funghi volano come madonne nei circoli, in Italia è quasi impossibile: in un paese narcotizzato dalle news e dall’alcol, con innumerevoli traumi collettivi non risolti, la psichedelia è ancora avvolta in un telo funerario di immaginari fantasy e terrori sinistri – la follia, le persone che si buttano dalla finestra. Per chi come me, grazie a degli amici outsider, entra per caso in contatto con la magia, nessun interlocutore è dato, se non hai la fortuna di incappare in qualche scena di nicchia. Lo stato ti tratta da criminale, la tua famiglia pensa che ti stai friggendo il cervello. Tu hai visto qualcosa, sei sicuro di aver visto una frattura nel quadro che ti era stato fornito del mondo, ma nessuno ti rassicura di fronte alla realtà che si sfilaccia, nessuno ti tende la mano nel caos con cui ti trovi a fare i conti. Al contrario, l’ambiente comincia a riversare in te le sue paure storiche, ti bastona perché sembri concentrarti su cose diverse dalla produttività e questionare i pilastri del tessuto economico e sociale (il lavoro, la famiglia, il genere sessuale). Allora smetti, ti impaurisci convincendoti che quel qualcosa sia un’allucinazione effimera; oppure continui, da solo o in piccole comunità autodidatte, senza sapere bene cosa stai facendo o dove andrai a parare. Almeno fino all’uscita de La scommessa psichedelica (Quodlibet, 2020), in libreria a novembre.
Questa preziosa raccolta di saggi, curata da Federico Di Vita, si propone di tendere quella mano che mancava mettendo insieme un manipolo di autori che offre, per la prima volta in Italia, una plastica varietà di prospettive su quello che è già noto come Rinascimento psichedelico, nel contesto di un rinnovato interesse medico-scientifico e di cauta apertura politica verso sostanze come LSD, psilocibina (alcaloide presente nei funghi magici), DMT, ma anche MDMA e ketamina. Mentre altrove in Europa si dà il via a sperimentazioni terapeutiche su depressione e disturbi mentali o si lavora a vari processi di decriminalizzazione, in Italia, dove la legalizzazione della marijuana light sembra una conquista epocale, niente di tutto questo è vicino ad accadere. A prendersi l’incarico di accendere il dibattito è allora l’editoria, o gli intellettuali, se si vogliono ancora chiamare così. Le uscite ravvicinate di libri come LSD di Agnese Codignola (Utet, 2018), le edizioni italiane de Il cibo degli dei di Terence McKenna (Piano B Edizioni, 2019, con la prefazione dello stesso Federico Di Vita) e, soprattutto, di Come cambiare la tua mente di Michael Pollan (Adelphi, 2019) hanno aperto la strada a una discussione impensabile fino a pochi anni fa. Dopo il lungo medioevo proibizionista e il terrorismo psicologico che ne è derivato, si ricomincia finalmente a parlare di psichedelici con una parvenza di serenità.
La questione va molto oltre la salute mentale e la cura della depressione – che, come ricorda Ilaria Giannini nel suo Rompere gli schemi: la cura psichedelica alla depressione, affligge oggi 322 milioni di persone (attestate), prima causa di disabilità al mondo secondo un rapporto dell’Oms del 2017. Gli psichedelici accendono una luce su un mondo grigio e fattissimo, i cui disagi hanno dimensioni vaste e strutturali: alcol, nicotina, caffeina, zucchero sono alcune delle droghe legali a cui l’umanità si è assuefatta per sfangare le sue giornate (lavorative), insieme alle varie classi di antidepressivi e alla famigerata dopamina, neuro ormone del piacere alla base dei meccanismi di dipendenza. È un Occidente anestetizzato, disconnesso e profondamente individualista quello in cui si riapre il dibattito sugli psichedelici. La crisi del sistema e l’apocalisse climatica in atto sono il tetro orizzonte entro cui tornano a operare le molecole magiche, con tutti i rischi del caso: come utilizzarle per il bene di tutti, sottraendole alle logiche commerciali e all’esclusività dei laboratori, senza fare gli stessi errori che portarono al fallimento della controcultura e alla War on drugs degli anni ’70, è quello che cerca di capire oggi una parte della comunità psichedelica, e ciò su cui si interrogano gli attivisti magici di questo libro. Ben consapevoli che quella in corso, come dice il titolo, è una scommessa, e che in quanto tale può essere vinta o persa.
Quella a cui ci pone di fronte la psichedelia è una guerra tra immaginari. Nella distopia intossicata e senza futuro del tardocapitalismo, gli psichedelici insegnano a sognare di nuovo, conferiscono visione laterale e potere – inteso come capacità di influenzare gli altri e la realtà e di plasmare immaginari alternativi. La domanda da farsi è: chi li userà, o li sta già usando, e per quali scopi? I programmatori degli strapotenti colossi tecnologici della Silicon Valley, i cui rapporti con la psichedelia hanno radici profonde, praticano il microdosing di LSD (di cui parlavo un anno fa in Progresso acido sulla rivista Duemilauno) per aumentare produttività e pensiero creativo. Gregorio Magini in Pseudoglossario menziona una lista di gruppi americani neonazisti e di ultradestra che fanno uso di funghi magici, DMT e ayahuasca per evocare scenari misogini e razzisti – e orribili entità maligne, suppongo – mentre una nuova temibilissima classe di new agers non vede l’ora di poter comprare i funghi in pasticca per mischiarli allo yoga e trovare finalmente la pace chimica, e le case farmaceutiche non aspettano altro che di accontentarli. «Sarebbe ben triste, in questo mondo già triste», scrive Andrea Betti in chiusura del suo Perché un Rinascimento non si faccia Restaurazione, «che le sostanze sacre venissero impiegate solo per creare persone docili in comunione col cosmo».
E i movimenti di sinistra, nati nella controcultura lisergica e poi sepolti da sessanta anni di capitalismo sfrenato, che ne hanno fatto della loro visione di libertà e uguaglianza? La mutilazione dell’abilità di sognare il futuro, racchiusa nel lugubre There is no alternative thatcheriano, è secondo il sociologo britannico Mark Fisher il potente incantesimo oscuro di quello che definisce Realismo capitalista, l’idea egemonica che futuri diversi da quello capitalista non siano più possibili. Un eterno presente fatto di black friday e code per l’iPhone, insomma. Prima di suicidarsi nel 2017, la suggestione cyberpunk che Fisher (il cui fantasma è più volte evocato nella raccolta) ha lasciato alla sinistra psichedelica per spezzare l’incantesimo è una contromagia, soltanto abbozzata, cui dà il nome di Comunismo acido. Una formula che disinnesca il potere immaginifico del capitalismo rievocando la visione controculturale di un progetto comunista in cui convergano «coscienza di classe, autocoscienza socialista-femminista e coscienza psichedelica». La parola “acido” incita a una forma di azione che sfrutti la plasticità mentale conferita dagli psichedelici per sognare mondi migliori e attivarli nel presente – come un virus venuto dal futuro ad hackerare il sistema. Con le parole di Fisher, riportate da Edoardo Camurri in Gnosticismo acido:

Il concetto di comunismo acido fa riferimento sia agli sviluppi storici presenti sia a una confluenza virtuale non ancora verificatasi nella realtà. Ciò che è potenziale esercita un’influenza anche senza essersi attualizzato. Il marchio di “un mondo che potrebbe essere libero” si ritrova impresso nelle strutture stesse di un mondo realista capitalista che rende impossibile la libertà.

Se è ormai chiaro che gli psichedelici da soli non saranno l’elisir miracoloso ai mali del mondo, sono però potenti strumenti magici di cui è necessario rivendicare per tempo un uso libero e popolare, possibilmente in un orizzonte anticapitalista. Sostanze sacre non da consumare, ma da mettere in comune per creare e rigenerare. Che cosa? Comunità. Parentele. Significati. Storie. Futuri possibili. Ibridando gli strumenti rituali che abbiamo a disposizione, dai festival psichedelici alle pratiche sciamaniche indigene (con la dovuta mediazione culturale), capaci di sbloccare esperienze mistiche profonde e di favorire il recupero dell’antico rapporto sincretico con gli elementi della natura. Chi torna dai viaggi con l’ayahuasca, come dai festival psichedelici, reca spesso con sé un messaggio ecologico radicale e qualche vibrazione anarchica. Francesca Matteoni, in Piante sacre: ayahuasca, sciamanesimo e coscienza ecologica, scrive:

La cerimonia dell’ayahuasca in ogni suo aspetto, dai canti dello sciamano, alle visioni, alla percezione di un altro con noi, si mescola vitalmente alle questioni dell’ecologia profonda, del riconoscimento di una dignità e di una storia psichica nella materia.

Mentre Chiara Baldini, folgorata sulla via del Boom Festival in Portogallo e da lì dedita allo studio dei rapporti fra antichi riti misterici e moderni festival psichedelici, descrive così in Tramonto al tempio la sua esperienza mistica:

La musica travolgente, migliaia di persone che ballavano all’unisono, i dragoni e i fiori come simboli che si sostituivano ai corporate logos che ero abituata a vedere nei concerti tradizionali dove si radunano migliaia di persone, il fatto che il tutto si svolgesse in mezzo al niente, nel Portogallo rurale: tutto contribuiva a creare un’esperienza che aveva una valenza più politica e radicale di qualsiasi altro evento o manifestazione a cui avessi mai partecipato. E soprattutto quell’incredibile senso di unione – di oneness – con la gente e la natura era talmente reale, palpabile e emozionante da lasciarmi stordita.

Affinché la scommessa sulla libertà dell’immaginazione venga vinta servono sincronia e buone intenzioni, oltre che vocabolario e letture comuni (Fantadroghe e pseudorealtà di Mazza Galanti e Pseudoglossario di Magini vanno in questa direzione, mentre Medicina per il mondo… o per i mercati? di Santoni evidenzia la necessità di una strategia). Serve includere una sensibilità ecologica e implicare la responsabilità politica nell’esperienza psichedelica; consolidare pratiche rituali di guarigione per rafforzare i legami e la fiducia nell’altro, minata alla base dalla logica individualista – l’idea per cui te la devi cavare da solo perché nessuno ti aiuterà, cavallo di battaglia della generazione post-sessantottina. Possono essere psychedelic party, piccoli ritrovi intimi attorno a un fuoco, invocazioni alla luna, rave e orge dionisiache nel bosco: gli alberi non ti volteranno le spalle, il sole sorgerà sempre. Superata la notte, avrai molto di più che semplici compagni. Avrai i fratelli e le sorelle di mille vite insieme con cui cominciare a costruire nuovi sistemi basati su empatia radicale, cooperazione e sostenibilità. E realtà psichedelica e realtà ordinaria finiranno per coincidere, se non stanno già coincidendo.

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